Difficoltà di accesso, code infinite, pratiche burocratiche incomprensibili, piattaforme informatiche escludenti, funzionari oberati, ma anche tentativi di rendere l’accesso ai servizi pubblici più facile e amichevole per i migranti. Il dibattito alla Biblioteca Calvino del 10 ottobre 2023

Ci siamo ritrovati in tanti nella sala convegni della Biblioteca Calvino per discutere quanto sia difficile per i migranti accedere ai servizi erogati dagli uffici pubblici, cercando anche di capire se e che cosa sia possibile fare per migliorare la situazione.

Se esaminiamo il percorso che una persona arrivata in Italia deve fare per poter accedere a qualunque servizio, il primo passo è la domanda di Permesso di soggiorno (e poi di rinnovo del medesimo). Per alcuni questo avviene attraverso la presentazione di un kit alla posta cui seguirà la convocazione in questura per il perfezionamento della pratica, ma per molti invece la domanda va presentata direttamente in questura, e tutti ricordano le code infinite e la situazione inumana negli uffici di corso Verona a Torino. Oltretutto, come spiega l’avvocata Eleonora Vilardi di Asgi, sono proprio i più fragili tra i migranti, quelli che chiedono un permesso per cure mediche o per ricongiungimento familiare a doversi sobbarcare i gironi infernali in corso Verona. La coda poi non è per sbrigare la pratica, ma solo per fare la richiesta di un appuntamento.

Il talloncino rilasciato dal funzionario della questura (o la ricevuta della posta nel caso del kit postale) resta l’unico documento che un migrante si trova in mano che gli dà il diritto di restare in Italia e di accedere al servizio sanitario, o ad avere un contratto di lavoro o a mandare i bambini a scuola. L’attesa poi per avere il documento vero e proprio può essere lunga anche più di un anno, mentre il talloncino si deteriora, diventa illeggibile, il datore di lavoro comincia a dubitare che il suo dipendente avrà mai il permesso di soggiorno e la persona sente la sua vita sempre più sospesa in un limbo di incertezza. Oltretutto non può neanche spostarsi dall’Italia perché quel talloncino non è un documento che altri paesi europei riconoscono e spesso nemmeno in Italia è detto che sia riconosciuto perché per altre questure quel foglietto di carta potrebbe non contare niente. Questa prassi è dunque fortemente lesiva dei diritti delle persone migranti, ma la questura si difende accampando la giustificazione di non avere abbastanza personale, di fronte a una crescita delle domande. Cosa non vera, secondo Vilardi, dato che i numeri non sono così elevati: gli stranieri sono in diminuzione, perché molti hanno il permesso per soggiornanti di lungo periodo o cominciano ad accedere alla cittadinanza. Quindi la richiesta di rinnovi è in forte calo.

Questa poi è la prassi della Questura di Torino, non è affatto detto che in altre città si comportino allo stesso modo. La discrezionalità dei funzionari nell’applicazione delle norme, e la loro continua modificazione da parte dei governi, è infatti un altro grosso problema che finisce per ricadere sulle spalle dei migranti, alla faccia della certezza del diritto.

Se per chi fa domanda di permesso di soggiorno, il calvario è quello descritto, molto peggio può capitare in questura ai richiedenti asilo, che in molti casi sono vittime di veri e propri abusi. Lo ha illustrato Duccio Facchini, direttore di Altreconomia, che ha effettuato un’inchiesta inviando a tutte le 100 questure d’Italia un’istanza di accesso civico con alcune semplici domande: chiedete agli aspiranti richiedenti asilo di produrre una comunicazione di ospitalità o un contratto di affitto? Chiedete, se hanno figli minori, di produrre i loro certificati di nascita tradotti e legalizzati dall’ambasciata del loro paese? Ebbene 70 questure hanno risposto e molte di queste hanno banalmente detto di sì, che loro ai richiedenti asilo fanno questo tipo di domande. Peccato che sia contro la legge, chi chiede asilo non deve produrre alcun tipo di documento e il comportamento dei funzionari delle questure si configura come un reato. Tanto è vero che un funzionario della questura di Pordenone è stato condannato dal tribunale di Trieste per omissione di atti di ufficio e lo stesso è accaduto a uno della questura di Alessandria da parte del tribunale di Torino. Purtroppo, finora gli interventi della magistratura non hanno interrotto la prassi vessatoria di gran parte delle questure, allo scopo, evidentemente, di diminuire le domande di asilo.

Facciamo un passo avanti. Supponiamo che il nostro migrante abbia finalmente in mano l’agognato talloncino e possa avere accesso ad altri servizi. Roberta Valenti di Ires Piemonte, illustra i dati di una ricerca sull’accesso al welfare per le persone con background migratorio. La ricerca ha riguardato sia gli operatori dei servizi che gli utenti e ha rilevato diverse criticità, di tipo generale ma anche specifiche per chi è di origine straniera. Per gli operatori il problema principale è la scarsità di risorse, l’invecchiamento del personale, una certa solitudine nel dover affrontare problematiche complesse. “Si crea all’interno del gruppo l’”esperto” di immigrazione al quale vengono demandate tutte le pratiche che riguardano persone straniere. Deve gestirle praticamente da solo. Non ha il tempo di formare le nuove leve che spesso sono precarie e quindi non resteranno a lungo in quell’ufficio.” A questo si aggiunge la burocratizzazione e la rigidità della procedura, oltre a un cambiamento continuo delle normative che spesso bloccano il funzionario. Le procedure informatiche da un lato velocizzano il lavoro, dall’altro tolgono tempo per il contatto a tu per tu con l’utente allo sportello. Inoltre, spesso le piattaforme informatiche dei diversi enti non si parlano tra loro, hanno delle incompatibilità tecniche che bloccano le procedure. Gli utenti poi hanno bisogno di assistenza per accedere alle piattaforme informatiche.

I cambiamenti normativi sono un incubo per gli stranieri ma lo sono anche per gli operatori e per i mediatori. A questo scopo Ires e Asgi, hanno messo in piedi un servizio per dare online in 48 ore risposte ai quesiti sulla normativa da parte degli operatori. (cercare sito) Inoltre gli operatori tendono a vedere le persone migranti come un unicum, quando invece sono persone con richieste e bisogni differenti e variabili. La presenza dei mediatori aiuta, ma spesso sono visti unicamente come interpreti linguistici e non come figura che traduce non solo la lingua ma spiega anche le usanze del paese di partenza e di quello di arrivo. “Sarebbe importante che tra gli operatori dei servizi ci fossero più persone con un background migratorio, invece la loro presenza è molto variabile” conclude Valenti. La conseguenza di tutto questo per i migranti utenti del servizio è una loro sfiducia verso gli operatori pubblici e la preferenza per operatori privati che ci lucrano.

Delle virtù e dei vizi delle procedure informatiche ha parlato invece Sandro Golzio, che se ne è occupato a lungo quando era dirigente del Comune di Torino. In estrema sintesi l’informatizzazione della pubblica amministrazione è di aiuto, ma solo parzialmente, perché per molte persone è difficile accedervi, pensiamo ad esempio agli anziani. Ci sono poi le barriere linguistiche, visto che ancora molti siti pubblici non prevedono altre lingue oltre l’italiano. Si può anche parlare di barriere culturali perché i contesti ambientali dei siti della pubblica amministrazione sono di difficile comprensione per i non esperti. Si deve ricordare che l’informatizzazione della pubblica amministrazione è stata fatta per “razionalizzazione”, cioè per risparmiare personale e risorse; e che le procedure informatiche seguono una logica di autotutela dell’amministrazione nei confronti dell’utente. Infine, l’informatizzazione potrebbe agevolare molto di più il dialogo tra i diversi soggetti pubblici, ma questo spesso non avviene perché le piattaforme informatiche sono state create con criteri differenti. L’informatizzazione poi ha dei buchi, se il Ministero dell’interno creasse un applicativo per la richiesta del Permesso di Soggiorno, la procedura sarebbe la stessa in tutte le questure e sarebbe più facile fare la domanda.

Per Franco Tresso, assessore all’anagrafe del Comune di Torino, a fronte di una sempre più diffusa digitalizzazione dei servizi, è necessario mantenere una forte componente analogica per aiutare le persone che per ragioni diverse hanno difficoltà ad accedere alle piattaforme informatiche. Per quanto riguarda i servizi anagrafici di cui è responsabile, questo si traduce nel fatto che nelle sedi delle otto circoscrizioni della città, nelle biblioteche, sui bibliobus, è possibile rivolgersi a dei mediatori per prenotare i certificati e gli atti anagrafici di cui si ha bisogno. Per i migranti il certificato più richiesto è quello del cambio di residenza, che è anche tra i più complicati da compilare, poterlo fare con qualcuno che ti aiuta accelera la procedura. Il Comune poi offre ai senza casa ma anche a chi vive in case occupate, la residenza alla Casa comunale 1, per poter accedere al servizio sanitario nazionale e ricevere la tessera sanitaria. Oltre ai servizi anagrafici, Tresso ricorda che il Comune di Torino dispone di spazi verdi e di edifici pubblici che possono essere destinati ad attività di aggregazione sociale. Bisogna trovare il modo di individuarli e capire come metterli a disposizione.

Discorso ancora diverso per quanto riguarda l’accesso alle cure mediche come spiega la dottoressa Margherita Vusso che si occupa dell’ambulatorio dell’Amedeo di Savoia dove accedono soprattutto pazienti affetti da HIV. Sulla carta l’accesso al servizio sanitario nazionale vale anche per chi non ha il permesso di soggiorno, nella pratica è più complesso. Trattandosi di malati cronici che necessitano di una terapia costante, spesso capita che per intoppi burocratici si ritrovino con la tessera sanitaria scaduta e rinnovata senza avere automaticamente l’esenzione dal ticket che pure gli spetterebbe. Il rischio, quindi, è che non seguano le terapie e non prendano i farmaci con le conseguenze negative per loro e per chi gli sta vicino. Insensato è poi il tempo previsto dall’ASL per la prima visita, 20 minuti, magari con qualcuno che non parla italiano e che usa il telefonino per tradurre; per fortuna spesso c’è una persona che fa da mediatore, ma il dialogo richiede assai più tempo per approfondire il contatto e fare un’anamnesi completa. Il mediatore è fondamentale per capire la cultura del paziente che si ha davanti. Ma la figura del mediatore non è doverosamente sostenuta e riconosciuta, come racconta la mediatrice Mariam Elghendi, che fa questo mestiere da 25 anni, ma ancora lavora in una cooperativa e non è nell’organico dell’Asl come sarebbe giusto.

Insomma, cose da migliorare e da cambiare ce ne sono e tante, ma soprattutto quello che occorre maggiormente è fare rete, resistere alle angherie e ai soprusi, aiutare chi è più in difficoltà, per dirla con il moderatore dell’incontro Davide Petrini, “aumentare la nostra capacità di resistenza”.

(Daniela Garavini per Pastorale MIgranti dell’Arcidiocesi di Torino)

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