A erogare questi fondi da parte dell’Italia sono stati vari ministeri, primo tra tutti quello degli esteri e della cooperazione che ha speso 376,24 milioni di euro. A partire dal 2017, infatti, con lo stanziamento di investimenti straordinari per la cooperazione con i paesi africani, il ministero, attraverso la Direzione generale per gli italiani all’estero e per le politiche migratorie, ha speso le risorse del Fondo Africa, poi rinominato Fondo migrazioni, per un ammontare complessivo di 253,35 milioni di euro allo scopo di fermare i migranti.

Un altro attore importante è stato il ministero della difesa che ha contribuito con oltre 254 milioni di euro alla missione navale europea Sophia, una missione militare a guida italiana avviata nel 2015 e conclusa a marzo 2020, il cui obiettivo primario era la lotta al traffico di esseri umani. La marina militare ha inoltre avviato programmi per il contrasto al traffico di migranti e il controllo dei confini per un totale di 44,25 milioni di euro, risorse provenienti dal Fondo europeo Internal security fund (Isf).

Anche il ministero dell’interno ha fatto la sua parte, finanziando in modo trasversale tutti gli ambiti: 31,9 milioni di euro per eradicare le cause dell’immigrazione, 37,5 milioni per il controllo delle frontiere, 12,2 milioni per la governance, 3,8 milioni per la protezione, 2,4 per le iniziative di sensibilizzazione e 23,1 per i rimpatri, per un totale di 118,27 milioni di euro. Non solo, ma come per gli altri ministeri, anche quello dell’interno ha gestito significative risorse europee, in particole nell’ambito dei programmi di rimpatrio, grazie a 21,7 milioni di euro provenienti dal Fondo asilo migrazione e integrazione (Fami).

Il ministero dell’economia e delle finanze ha stanziato invece 38,8 milioni di euro a sostegno della guardia di finanza per programmi di supporto al controllo delle frontiere. Quest’ultima ha inoltre implementato programmi di controllo dei confini, nel Mediterraneo e in Libia e Tunisia, per un ammontare di 255 milioni di euro, la maggior parte dei quali – 215,14 milioni – provenienti dal fondo Isf europeo.

Quello che ha investito di meno è quello che avrebbe dovuto investire di più, cioè il ministero del lavoro, con appena 15,1 milioni di euro, ovvero l’1,1 per cento della spesa totale. Solo questa piccola porzione della spesa è stata stanziata per la creazione di vie legali per l’accesso al territorio italiano, l’unica strategia che si è rivelata davvero efficace nel contrasto del traffico di esseri umani.

Per quanto riguarda i contributi europei, invece, è un settore destinato ad aumentare nei prossimi anni: il nuovo bilancio (Quadro finanziario pluriennale europeo 2021-2027) per la prima volta ha infatti stabilito un capitolo di spesa specifico sulle migrazioni pari a 24,2 miliardi di euro, con un incremento del 96 per cento rispetto alle risorse stanziate nel periodo 2014-2020.

Nessuna trasparenza
“Il quadro è chiaro e anche preoccupante”, dichiara Roberto Sensi, policy advisor di ActionAid Italia. “Dal punto di vista delle strategie politiche sia europee sia italiane, nei prossimi anni si conferma l’approccio securitario orientato a reprimere i flussi migratori e ad aumentare i rimpatri, esponendo migranti e rifugiati ad abusi, respingimenti, estorsioni, rimodellando percorsi e rendendo più difficile, anche per i rifugiati, cercare protezione. Occorre ridefinire le politiche migratorie rimettendo al centro le persone e i loro diritti”, continua il ricercatore.

Dall’inchiesta emerge la necessità di aumentare la trasparenza sulle iniziative finanziate e di vincolare i programmi al rispetto dei diritti umani attraverso un ruolo di controllo del parlamento e l’adozione di meccanismi di monitoraggio indipendenti che coinvolgano anche le organizzazioni della società civile. Le politiche italiane ed europee, infatti, si sono rivelate parzialmente efficaci a contenere la migrazione, ma a un prezzo altissimo in termini di vite perdute e gravi violazioni dei diritti umani. In particolare nel contesto libico, dove la creazione di un sistema di intercettazione delle persone in fuga, tramite assetti militari e sistemi di coordinamento marittimo, ha prolungato i periodi di detenzione, aumentando in modo significativo il rischio di abusi.

Un ulteriore elemento di criticità che emerge dall’inchiesta The big wall riguarda il condizionamento e la deviazione degli aiuti pubblici allo sviluppo. Circa il 15 per cento dei fondi è stato investito nelle cosiddette “cause profonde” della migrazione, nella convinzione che maggiore sviluppo economico si traduca in una riduzione dei flussi migratori. In realtà è noto ormai che l’aumento di reddito pro capite nel breve e medio termine nei paesi con un pil basso non è in grado di ridurre la propensione a migrare, al contrario la aumenta.

Questo però ha determinato una grave falla nel sistema di cooperazione allo sviluppo, attraverso l’imposizione di condizionalità agli aiuti (più risorse a fronte di un maggiore impegno nel fermare i migranti da parte dei paesi) e la deviazione dei loro obiettivi di sviluppo: i fondi non sono stati destinati a programmi e paesi il cui obiettivo principale era la riduzione della povertà ma, appunto al contrasto alle migrazioni irregolari, che di fatto restano l’unica possibilità per le persone migranti in assenza di canali di ingresso regolari.

 

Per approfondire leggi anche:

Sabato 6 marzo 2021, Avvenire, Un miliardo di euro per il “muro” italiano in Africa. Inefficace e brutale, articolo di Luca Liverani

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