La Maersk Etienne, nave per il trasporto di bestiame, rimase bloccata per 37 giorni con 27 naufraghi a bordo

 

Proponiamo due articoli di Nello Scavo di Avvenire che riportano la notizia delle indagini in corso nei confronti di alcune ONG impegnate nel salvataggio dei migranti in mare sulla rotta tra Libia e Sicilia.

 

Lunedì 1 marzo, Avvenire

Un accordo di natura commerciale tra le società armatrici», finalizzato al trasbordo di un gruppo di migranti bloccati per 37 giorni sul cargo Maersk Etienne. È questa l’accusa mossa dalla procura di Ragusa alla società armatrice della nave “Mare Jonio”, adoperata da “Mediterranea Saving Humans”.

I reati contestati sono quelli di «favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – si legge in una nota della procura siciliana – e di violazione alle norme del Codice della Navigazione». Ieri mattina un gruppo interforze ha eseguito una serie di perquisizioni per otto indagati, tra i quali Beppe Caccia, Luca Casarini, Alessandro Mez e il comandante Pietro Marrone. Volendo sgombrare il campo dalle illazioni, il procuratore Francesco D’Anna ha voluto precisare che non vi sono inchieste sulla gestione delle Ong nei soccorsi in mare, ma «soltanto su un episodio in cui sono coinvolte due società commerciali».

I fatti oggetto dell’inchiesta risalgono allo sbarco dei 27 migranti avvenuto il 12 settembre scorso nel porto di Pozzallo. Gli stranieri erano stati trasbordati il giorno precedente dalla Maersk Etienne, di proprietà della più importante compagnia di navigazione mercantile del mondo. Il giorno dopo il trasbordo, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati si complimentò con il governo italiano, in particolare con il ministero dell’Interno, per avere contribuito a interrompere il più lungo e drammatico stop mai registrato a causa del rifiuto maltese di accogliere i profughi. Nella dichiarazione dei vertici di Unhcr-Acnur si parlava di «fondamentale intesa con il governo italiano, nella totale assenza dell’Europa». Secondo la procura di Ragusa, invece, si sarebbe trattata di un’operazione non autorizzata. Tuttavia proprio la Procura nel decreto di perquisizione non parla di quadro probatorio assodato ma, sulla base degli elementi raccolti, ritiene «plausibile» la condotta illecita della compagine armatoriale, «essendovi motivo di ritenere» che nei giorni precedenti al trasbordo Caccia e Casarini avessero concordato con i manager della compagnia danese l’intervento della Mare Jonio.

A quanto trapela da diverse fonti vicine all’inchiesta, un mese dopo il trasbordo l’armatore “Idra”, proprietario di Mare Jonio, ha fatturato alcuni servizi portuali per la Maersk, che con regolare bonifico ha versato 125mila euro. Secondo la difesa si è trattato di attività professionale rientrante tra le prestazioni che il personale professionale alle dipendenze di “Idra” (marinai e tecnici) svolge per conto dell’armatore, che poi riversa gli introiti nel finanziamento del soccorso in mare.

Contattata da Avvenire, la compagnia Maersk assicura di non essere mai stata contattata dagli investigatori, nonostante abbia approvato e pagato con un bonifico diretto la somma pattuita per dei servizi marittimi. “Abiamo apreso che è in corso un’indagine ufficiale”, risponda da Copenaghen un portavoce della società. Maersk potrebbe chiarire se davvero vi è stato un accordo preventivo, che secondo la procura è “plausibile”, e quali fossero i termini. “Non siamo stati contattati dalle autorità in relazione a questa indagine, ma siamo pronti ad aiutare in qualsiasi momento”, aggiunge il portavoce. Poiché l’inchiesta è in corso “ci asterremo, per principio, dal commentare ulteriormente in questo momento”.

Per la procura, invece, quella cifra è la prova della “gratitudine” di Maersk, che non è stata indagata. Sempre nel decreto di perquisizione tra l’altro si legge che da Amsterdam uno dei manager del gigante dela navigazione commerciale informava Caccia di avere ricevuto i complimenti di altri importanti armatori europei, preoccupati dallo scaricabarile tra Paesi (Malta e Italia) che più volte aveva provocato il blocco delle navi in mare dopo i salvataggi di naufraghi. Una posizione, quella di Maersk, che faceva preannunciare «il proprio sostegno politico e materiale» alle organizzazioni umanitarie nel Mediterraneo, «come se l’iniziativa di Mare Jonio – aggiunge la Procura –, avesse coraggiosamente inaugurato una nuova fase».

 

Martedì 2 marzo 2021, Avvenire

Mentre la procura di Ragusa ufficializzava l’inchiesta sul trasbordo di migranti dalla petroliera Maersk Etienne alla Mare Jonio, il Tribunale di Catania chiedeva il rinvio a giudizio per Medici senza frontiere e la procura di Trapani, dopo quattro anni, chiudeva l’inchiesta con cui chiederà il rinvio a giudizio, sempre per favoreggiamento dell’immigrazione illegale, ai danni ancora una volta di Medici senza frontiere. Tutto in ventiquattr’ore. Unica notizia di segno opposto, il Tar di Palermo ha sospeso i fermi che bloccavano la Sea–Watch 4 da sei mesi nel porto del capoluogo siciliano. «Le decisioni della magistratura, arrivate a poche ore di distanza, allungano l’elenco – spiega Msf in una dichiarazione ad Avvenire – dei numerosi tentativi di criminalizzare il soccorso in mare, che a oggi non hanno confermato alcuna accusa». A Ragusa, intanto, l’inchiesta su Mare Jonio, alla cui compagnia armatrice è contestato l’avere incassato un bonifico da 125mila euro dalla danese Maersk, ieri ha avuto uno sviluppo. Il gigante danese del trasporto marittimo ha spiegato di non essere mai stato contattato dagli investigatori, nonostante abbia inviato agli armatori di “Mediterranea” il bonifico contestato. «Abbiamo appreso che è in corso un’indagine ufficiale», si legge in una mail inviata ad Avvenire dal quartier generale di Copenaghen, tuttavia «non siamo stati contattati dalle autorità in relazione a questa indagine, ma siamo pronti ad aiutare in qualsiasi momento». Se le indagini arriveranno fino a Copenaghen si capirà se, come sostiene la procura, vi è stato un «accordo commerciale» preventivo tra Idra, proprietaria di Mare Jonio e Maersk. Oppure, come sostengono gli indagati, se quei fondi versati oltre un mese dopo il trasbordo siano stati il frutto del sostegno di Maersk che, anche nel corso di un congresso pubblico, aveva annunciato insieme ad altre compagnie di navigazione l’intenzione di offrire un supporto «politico e materiale» alle organizzazioni umanitarie.

Il presidente e il vicepresidente della società armatoriale, Alessandro Metz e Giuseppe Caccia, spiegano di avere “incontrato per la prima volta i manager della Maersk Tankers un mese dopo la conclusione dell’operazione di soccorso”.

Il faccia a faccia è avvenuto “nel contesto di riunioni con le Organizzazioni di rappresentanza degli Armatori danesi ed europei, con i quali stiamo da allora discutendo le problematiche delle navi mercantili che incrociano nel Mediterraneo e la comune richiesta affinché gli Stati europei rispettino gli obblighi relativi al coordinamento dei soccorsi e allo sbarco delle persone recuperate in mare”. In quella circostanza, spiegano Metz e Caccia, entrambi indagati, gli armatori “ci hanno chiesto come potessero aiutare le nostre attività umanitarie, politicamente e materialmente. Sulla base della Convenzione di Londra del 1989 sull’assistenza tra navi in acque internazionali, Maersk ha così parzialmente riconosciuto le spese aggiuntive sostenute da Idra Social Shipping per i servizi svolti in mare, come forma di sostegno alla nostra attività. Né più né meno”. Dal canto loro gli inquirenti sostengono invece di avere elementi da cui si può ritenere “plausibile” un intesa precedente al trasbordo.

La serie di inchieste emerse in queste ore riporta alla memoria la stagione delle indagini contro le Ong partite nel 2017 e mai arrivate a un solo processo. “Dopo anni di indagini, in un solo giorno, abbiamo ricevuto dalla Procura di Trapani l’avviso di chiusura delle indagini per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e dal Gup di Catania la decisione di rinvio a giudizio per traffico illecito di rifiuti”, riassume Medici senza frontiere. “Le decisioni della magistratura, arrivate a poche ore di distanza, allungano l’elenco dei numerosi tentativi di criminalizzare il soccorso in mare, che a oggi non hanno confermato alcuna accusa, ma che – si legge nella nota dell’organizzazione umanitaria – insieme alle ciniche politiche dell’Italia e dell’Europa hanno pericolosamente indebolito la capacità di soccorso nel Mediterraneo centrale, al drammatico costo di migliaia di vite umane”.

In mare si trova la Sea Watch 3 che fra il 26 e il 28 febbraio, nella sua prima missione dopo sette mesi di blocco forzato, ha soccorso 363 persone e stabilizzato un’imbarcazione in pericolo con 90 naufraghi a bordo. La nave Ong arriverà oggi nel porto di Augusta. «Le persone soccorse e il nostro equipaggio – dice la portavoce Giorgia Linardi – sono allo stremo: le condizioni meteo sono peggiorate a causa del vento ed è impossibile evitare il diffondersi dei casi di ipotermia». Presto potrebbe tornare a effettuare soccorsi anche la Sea Watch 4. Il Tar di Palermo ha infatti restituito la libertà di navigazione nell’attesa che la Corte di Giustizia Europea si pronunci sul caso. Era stato proprio il Tribunale amministrativo siciliano a rivolgersi alla giurisdizione europea a cui ha trasmesso i ricorsi presentati da Sea–Watch. La Corte di giustizia è chiamata a esaminare la legittimità dei provvedimenti di blocco anche alla luce delle emergenze umanitarie.

 

 

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