L’Iran svelato: Shirin, attivista torinese di sangue persiano lotta da qui perché nel Paese dei suoi genitori qualcosa possa cambiare.

Io ho vissuto l’Iran sempre solo come il luogo delle vacanze un mese l’anno, qui in Italia non ho mai frequentato molti coetanei iraniani, ma ora mi sto cercando di fare tutto quello che posso per essere vicini a chi soffre ogni giorno a causa del regime della Repubblica Islamica” Shirin Rajaei Esfahani è una studentessa di cooperazione internazionale figlia di genitori iraniani, nata e cresciuta a Torino vivendo con i piedi in due culture.

Prima di un anno fa non ero molto coinvolta nel dibattito politico sull’Iran e avevo anche pochi contatti con iraniani al di là della rete della mia famiglia: un evento però mi ha toccata profondamente e mi ha portata a decide di impegnarmi attivamente.” Shirin ricorda la morte di Mahsa Amini a Theran, capitale dell’Iran, il 16 settembre 2022 in seguito all’arresto da parte della polizia  religiosa perché la giovane non indossava il velo correttamente. “Ho sentito il bisogno di fare qualcosa: chi è là ha un raggio d’azione limitato perché vive sotto un regime, ma vedevo che forse per la prima volta c’erano segni di un certo movimento.”

È ad alcuni eventi e manifestazioni torinesi che la studentessa conosce altri giovani di origine iraniana e con un piccolo gruppo concretizza la propria voglia di fare qualcosa aprendo una pagina Instagram dal titolo “Unveil Iran”, cioè “svelare l’Iran”: un gioco di parole che unisce le proteste delle donne contro il velo obbligatorio e l’esigenza di raccontare la Repubblica Islamica agli italiani. “Cerchiamo di fare contronarrativa rispetto a quello che raccontano i media occidentali che hanno dipinto i movimenti che da un anno attraversano l’Iran come una rivoluzione solo di donne per i diritti femminili violati. Non è vero: questa narrazione sminuisce molto la situazione.” Spiega infatti che il problema degli iraniani non sono solo i diritti delle donne, con il velo che ne è diventato l’elemento simbolico, ma le libertà civili e democratiche negate a tutti gli abitanti della teocrazia degli ayatolah, tanto che i manifestanti e le vittime della lotta civile sono anche molti uomini. “Ridurre mediaticamente le proteste alla questione femminile potrebbe permettere al regime di tirarsene fuori facendo qualche concessione alle donne, ma l’Iran ha bisogno di ben altro: lì nessuno ha diritti”

Sono 9 milioni i persiani della diaspora in tutto il mondo e Shirin si sente parte di questa grande comunità che sta facendo pressioni sui Paesi di immigrazioni e gli organismi internazionali perché prendano posizione sulla situazione in Iran. “All’inizio avevo paura di poter sembrare arrogante nei confronti di chi in Iran ci vive, pensavo che potessero vedere male l’azione di chi da fuori si coinvolge nei problemi di un Paese in cui non ha mai vissuto. Poi mi sono ricreduta: parlando con alcuni contatti là ho visto come siano loro stessi a chiedere di raccontare fuori cosa succede: di fatto per 44 anni nessuno ha visto davvero l’Iran.” L’obiettivo d’altronde è chiaro: portare ad un cambiamento nel Paese anche grazie alle spinte dall’esterno, ma lasciare poi a chi vive ogni giorno l’Iran la costruzione di un nuovo sistema, senza ingerenze dall’esterno.

(Simone Garbero su La Voce e il Tempo 14/10/2023)

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