Il 9 febbraio 2023 il sito di International Crisis Group (ICG) – organizzazione non governativa di ricerca sui conflitti violenti nel mondo – ha dato notizia dei passi che il Canada ha intrapreso per avviare il processo di pace tra il governo camerunense e i separatisti anglofoni (Canada Initiative Offers Opportunity for Cameroon Peace Process)
Il Camerun si affaccia sul Golfo di Guinea con una superficie pari ad oltre una volta e mezza quella dell’Italia e con una popolazione di circa 30 milioni di abitanti, a maggioranza francofona. Divenuto indipendente nel 1960, il Paese da sette anni vede il Nord Ovest ed il Sud Ovest , per lo più anglofoni, opporsi al governo di Yaoundé. Risalgono infatti al 2016 le proteste di avvocati ed insegnanti di quelle regioni per la costituzione di uno Stato bi-federale e per il mantenimento nelle due regioni del sistema giuridico ed educativo di impronta britannica. Senonché la pesante reazione del governo centrale suscita la formazione di milizie armate di opposizione. Si innescano a catena scontri che, secondo le stime, provocano, fino ad oggi, la morte di oltre 6.000 persone, l’esodo interno di altre quasi 800.000 e l’interruzione dei servizi scolastici per più di 700.000 studenti.
Il 20 gennaio 2023, dopo mesi di preliminari contatti riservati con le parti, il Ministro degli Esteri di Ottawa annuncia che la due parti sarebbero disponibili ad avviare i negoziati di pace. Peraltro, mentre l’opposizione subito conferma il proprio impegno al riguardo, il governo nega di aver chiesto alcuna assistenza straniera. Per tutta risposta le milizie separatiste riprendono l’azione con posti di blocco ed assalti a convogli militari governativi. Da parte sua Yaoundé lancia il reclutamento di 9.500 soldati e le forze di sicurezza attaccano le forze separatiste.
Non è la prima volta che il governo si dimostra restìo ad avvalersi di un facilitatore esterno per trovare l’accordo con il separatismo. E’ quanto accade nel 2019 ed ancora nel 2022 con la Svizzera, la cui offerta di mediazione non viene accolta. Peraltro, stando all’analisi dell’ICG vi sono almeno più ragioni perché ora il governo camerunense finisca per accettare di partecipare con convinzione al progetto promosso dal Canada. Si tratta innanzitutto di evitare che il conflitto degradi e quindi che milioni di cittadini del Camerun patiscano ulteriori sofferenze. Diventa inoltre essenziale assicurare la stabilità del Paese in vista delle elezioni del 2025 – a rischio di boicottaggio da parte della minoranza anglofona, come avvenuto in passato- che dovrebbero portare al ricambio del Presidente Paul Biya, ormai novantenne e al potere ininterrotto da oltre 40 anni.
Se avviato, il negoziato di pace potrebbe dapprima dare attuazione a talune misure di distensione preconizzate nei contatti preliminari quali la cessazione delle ostilità, la protezione del sistema di istruzione anglofono e il rilascio dei prigionieri. E poi andrebbero affrontate le questioni cruciali dello statuto istituzionale delle regioni in conflitto, della riforma dei settori della sicurezza, del disarmo delle forze ribelli, della risposta di giustizia ai crimini compiuti e della ricostruzione dell’economia. Il percorso si preannuncia tutt’altro che facile posto che anni di sfiducia, frustrazione e violenze separano il governo centrale e forze separatiste. E’ convinzione di ICG che, per superare queste fratture, le parti debbano lavorare in stretta collaborazione con i gruppi religiosi, le organizzazioni della società civile e delle donne. Ma non solo perché altrettanto decisivo si presenta il sollecito sostegno al negoziato da parte di attori esterni quali Francia, Regno Unito, Germania, Svizzera, Stati Uniti, Vaticano insieme a Unione Africana ed Unione Europea.
Testo di Alberto Perduca
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