Immagine dal sito di “European Civil Protection and Humanitarian Aid Operations”

La Colombia, un Paese che – come dice Papa Francesco – ha tanti problemi di sviluppo, povertà e pace, ha annunciato un programma pluriennale per la regolarizzazione di tutti i migranti venezuelani privi di documenti. Un progetto, ma che è soprattutto una vera “sfida”, che dovrebbe essere conosciuto e letto con attenzione da tutti i Paesi. Siamo pertanto riconoscenti ad Avvenire per questo articolo che doverosamente e con piacere pubblichiamo.

Martedì 23 febbraio 2021, Avvenire, articolo di Gianni La Bella

Un esempio di umanità e di civiltà è arrivato in questi giorni dall’America Latina. Dalla Colombia, pur stretta nella morsa di una triplice crisi che nel corso dell’ultimo anno, si è fatta più acuta e grave. Pesa il dissesto dell’economia informale, che da decenni regge il Paese. E sono devastanti gli effetti prodotti sia dal Covid-19 sia dalla crisi sociale alimentata dall’impasse nell’implementazione degli Accordi di Pace con le Farc, che hanno generato una recrudescenza della violenza e centinaia di assassinii di leader sociali e ambientali.

Tra coloro che hanno ingrossato le fila del numeroso popolo dei senza tetto, senza voce e diritti, degli ‘scartati’ ci sono 1 milione e 700 mila migranti venezuelani, parte di quei quasi 5 milioni, che da tempo sono fuggiti dal loro ‘Paese-prigione’ ancora in mano a Nicolás Maduro. Con una decisione che non ha precedenti, il governo di Ivan Duque ha posto la Colombia all’avanguardia della politica migratoria, annunciando un programma di dieci anni, che mira a regolarizzare tutti i migranti venezuelani privi di documenti, che si trovano già nel Paese. Il nascente Statuto temporaneo di protezione per i migranti venezuelani (Etpv) è un piano che prevede la loro integrazione, consentendo di accedere al lavoro formale, all’istruzione, alla sanità, proprio alla vigilia della vaccinazione di massa per immunizzare la popolazione contro il coronavirus, che il governo di Bogotá prevede di iniziare il 20 febbraio.

Il presidente ha presentato il suo progetto di regolarizzazione come un modello, per stimolare anche altri Stati della regione e l’intera Comunità internazionale ad adottare politiche simili. Un annuncio che ha permesso a Duque, come sottolineano i critici della sua azione di governo, di ‘distrarre’ l’opinione pubblica nazionale e internazionale in un momento in cui pesano ritardi, negligenze e inadempienze rispetto alla questione della pace. Ma la svolta umanitaria è oggettiva. Ed è stata salutata da una lluvia de felicitaciones, una pioggia di consensi: a partire da quelle del segretario di Stato americano Blinken, del segretario generale dell’Onu Guterres, dell’ambasciatore Ue in Colombia, Patricia Llombart («decisione solidale, coraggiosa e senza precedenti»,) e dell’alto commissario per i rifugiati Grandi: «Il più importante gesto umanitario compiuto nel continente dalla Dichiarazione di Cartagena nel 1984». Il direttore generale dell’Oim Vitorino insiste sull’«esempio per il mondo».

Papa Francesco nell’Angelus di domenica 14 febbraio ha espresso con parole calde e chiarissime la sua riconoscenza alla autorità colombiane per lo statuto riconosciuto ai migranti venezuelani: «Questo – ha sottolineato il Papa – non lo fa un Paese ricchissimo, sovrasviluppato. No, lo fa un Paese con tanti problemi di sviluppo, di povertà, di pace, quasi settant’anni di guerriglia. Grazie alla Colombia. Grazie!».

La vera sfida, ha riconosciuto uno degli artefici del progetto, Juan Francisco Espinosa, direttore della Migración Colombia, in una intervista al ‘El Espectador’, «non era ‘regolarizzare’, la vera sfida era di poter offrire accoglienza a quei migranti venezuelani che sfuggono dal loro Paese di origine, per renderli parte della vita produttiva del Paese e continuare a garantire ordine e sicurezza all’interno del territorio nazionale». E questo contribuirà a cambiare profondamente il clima del Paese, rassicurando i tanti colombiani che da oltre cinque anni convivono con i loro ‘gemelli’ venezuelani, riducendo notevolmente i tassi di xenofobia che avvelenano anche quella società. Perché davvero destabilizzante per un Paese non è lo ‘straniero’, ma non sapere chi si trova sul suo territorio, dove viva e cosa faccia, condannare gli immigrati all’irregolarità, rifiutando di includerli da cittadini in una comunità di destino.

L’esempio è stato imitato negli Usa dalla nuova amministrazione di Joe Biden che ha cancellato il programma Remain in Mexico, stretto nel dicembre 2018 dall’ex presidente Trump e dal leader messicano López Obrador, grazie al quale sono state rispedite indietro ‘a prescindere’ più di 70mila persone. E c’è da sperare che possa stimolare più lungimiranti visioni e coraggiose politiche migratorie da parte dei Paesi dell’Ue. La decisione del governo colombiano di far uscire dall’ombra quasi due milioni di venezuelani, rendendoli visibili, spinge a rimettere finalmente al centro del dibattito politico la tutela e la protezione della libera circolazione degli uomini e non solo delle merci. In America Latina è il necessario preludio alla realizzazione del sogno visionario della patria grande, che quel continente oggi più che mai non può permettersi di dimenticare.

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