Al Festival dell’Accoglienza dibattito sul ruolo degli istituti penitenziari

E’ facile cedere alla rassegnazione di fronte alla domanda Carcere: luogo di sconfitta sociale? che ha dato il via all’incontro organizzato dal Festival dell’Accoglienza lo scorso 14 ottobre. Senonché  non è affatto questa la risposta che è emersa dal confronto tra Mauro Palma, presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà, Piero Buffa, direttore generale della formazione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e Marco Pozza, cappellano del carcere “Due Palazzi” di Padova

Certo, vi è più di un motivo per temere che le carceri rimangano  il luogo dove precipitano, irrisolti, molti dei problemi della società e delle istituzioni ed ove si concentrano le persone deragliate rispetto alle quali rischia sempre di prevalere la  logica dell’esclusione dal corpo sociale. Il progressivo spostamento delle prigioni verso le aree lontane o comunque periferiche ai centri urbani – di cui per lungo tempo hanno invece costituito sinistre componenti – agevola poi la rimozione collettiva nei confronti di coloro che sono diversi per aver violato la legge penale.

Del resto pochi dati bastano a delineare i contorni di una realtà profondamente segnata da fragilità e marginalità. In particolare: la popolazione carceraria, in costante crescita, si avvicina oggi alla soglia di 60.000 persone, superando del 10% la capienza regolamentare degli istituti; il 60% dei detenuti necessita di terapie psichiatriche; oltre il 30% è costituito da stranieri; nel 2022 i suicidi toccano il numero di 85, soglia mai raggiunta negli ultimi 20 anni.

Dunque lo spettro del carcere quale discarica sociale continua ad incombere, ma almeno due ragioni si oppongono alla conclusione che questa realtà sia immodificabile. La prima, si fonda sulla nostra Costituzione che da tutti esige solidarietà (art.2), a ciascuno riconosce pari dignità sociale ed alla Repubblica nel suo insieme  chiede di rimuovere gli ostacoli che di fatto limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini (art.3). Quanto alle pene, esse, oltre a non violare il senso di umanità, debbono tendere alla rieducazione dei condannati. (art.27). Insomma, non imposizione di rieducarsi – come invece avviene negli Stati totalitari – bensì opportunità di emanciparsi in vista del  rientro nella società libera quali cittadini responsabili. Tra queste, e in prima linea, l’istruzione. Bene hanno fatto gli interventi del 14 ottobre a sottolineare con forza il ruolo cruciale che la scuola può e deve svolgere nei confronti di coloro che sono rinchiusi in carcere. Aprendo loro le finestre sul mondo  con la cultura – anche nella sua dimensione di bellezza –  è cioè possibile favorire la maturazione del senso da dare alla propria esistenza, presente e futura. E non a caso, pure su questo terreno la Costituzione si rivela esigente laddove sancisce che la scuola è aperta a tutti (art.34) e quindi pretende che l’impegno delle competenti Istituzioni valichi le soglie del carcere.

La seconda ragione di resistenza all’idea che il carcere sia condannato al perenne inadempimento dei principi costituzionali risiede proprio nelle ormai consolidate esperienze di scuola per i detenuti, talune delle quali testimoniate in diretta nell’incontro. La formazione universitaria, ad esempio, iniziata a partire dalla metà degli anni ’80 è ormai attiva in un centinaio di istituti di pena e conta oggi 1450 studenti, di cui un’ottantina nei soli Istituti di Torino e Saluzzo. Dunque l’istruzione in carcere non solo è possibile ma è lontana dall’anno zero. E tuttavia rimangono aperte non poche sfide per rendere davvero  accessibile l’esercizio del diritto (costituzionale) allo studio. Si pensi al riguardo a talune peculiarità dell’istituzione carceraria che rallentano la fluida collaborazione con quella scolastica.  Così la diffusa durata medio-breve della detenzione, i periodici trasferimenti da un Istituto all’altro, la crescente presenza di stranieri ed  i ritmi fissi della vita interna alle prigioni per ragioni di sicurezza e di risorse, costituiscono elementi che sollecitano la scuola a risposte improntate a  visione e creatività. Sono doti che non fecero di certo difetto alla marchesa Giulia di Barolo,  il cui splendido palazzo che le appartenne  ha ospitato l’incontro.  Come ricordato nel saluto iniziale da Sonia Schellino di Opera Barolo,  la nobile francese  promosse a Torino l’istituzione del carcere femminile e l’assistenza alle donne una volta uscitene. L’obiettivo di allora rimane lo stesso di oggi per carcere e scuola: mettere al centro la dignità delle persone, condizione ineludibile per ogni prospettiva di riscatto.

(Alberto Perduca su “La Voce e il Tempo” del 22/10/2023)

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy