Flussi di migranti dall’Asia all’Europa (Fonte: ASGI)

La rotta balcanica

Premessa

Nel 2019 sono stati 107.800 i richiedenti asilo e i rifugiati nel mondo che hanno potuto usufruire di canali umanitari e programmi di reinsediamento. Sono stati ospitati in 26 paesi e in particolare 30.100 in Canada, 17.500 negli Usa, 18.200 in Australia e 29.066 in Europa (di cui 1355 in Italia). Peccato che secondo i dati dell’UNHCR (statistiche 2019, pag.51), nel mondo il bacino di persone nelle stesse condizioni fossero 1.400.000!

Il restante milione e trecentomila circa dei potenziali rifugiati si sposta e viaggia cercando di raggiungere un posto sicuro, affidandosi a trafficanti e passatori vari, esposti a violenze private e anche pubbliche, venendo poi bloccati per mesi o per anni in campi organizzati o di fortuna lungo il loro percorso. A questi occorre aggiungere le milioni di persone considerati “migranti economici” e perciò passibili di essere rimandati nel loro paese di origine.

In compenso, nel nuovo Patto europeo sulla migrazione e l’asilo del settembre 2020 è previsto per il biennio 2020-2021 un numero di ingressi di rifugiati in Europa per reinsediamento, pari a 29.500, ovvero un numero molto simile a quello di quanti sono entrati regolarmente nel solo 2019. Lo si può leggere nel volume Il diritto d’asilo Report 2020 (pag. 35), che costituisce la principale fonte di questo articolo.

Tutto questo nonostante l’enfasi posta dalla nuova presidente Ursula Von Der Leyen sull’argomento: “…adotteremo un approccio umano e umanitario… tutti devono farsi avanti e assumere le proprie responsabilità…”.

 

La rotta balcanica è una delle vie percorse da persone in fuga da guerre, carestie, povertà, persecuzioni, che hanno come meta l’Europa, dove sperano di trovare rifugio, asilo e un futuro. È la via, in particolare, di chi proviene da paesi dell’Asia centrale come il Pakistan e l’Afghanistan, e del Medio Oriente, come la Siria e l’Irak, aree ad alta instabilità, quando non in conflitto conclamato. Tappa obbligata di questo percorso è la Turchia, ed è da qui che dobbiamo cominciare.

 

Turchia

Torniamo indietro di 6 anni. Siamo nel 2015. La guerra in Siria è in pieno svolgimento e milioni di siriani sono in fuga dal loro paese. Dalle coste della Turchia con mezzi di fortuna cercano di arrivare sulle isole greche dell’Egeo orientale, in particolare a Lesbo, dove a Moria sorge uno dei più grandi campi profughi. La Grecia è in piena crisi del debito e la situazione è molto difficile. È in questo contesto che la cancelliera Angela Merkel prende la decisione di accogliere un milione di rifugiati siriani in Germania. Tra il 2015 e i primi mesi del 2016 circa 1.200.00 siriani fanno domanda di asilo e oggi il loro processo di integrazione nella società tedesca è abbastanza buono, come si può leggere in questo articolo del Post del 31 agosto 2020.

Profughi siriani trattenuti dalla guardia costiera turca, a Küçükkuyu, mentre cercavano di raggiungere l’isola greca di Lesbo, il 3 marzo 2016. (Bulent Kilic, Afp. Fonte: Internazionale)

Da allora però, le maglie degli ingressi regolari in Europa, attraverso canali umanitari e programmi di reinsediamento, si sono fatte sempre più strette. La politica dei paesi della Ue, infatti, è piuttosto volta a fermare i migranti prima del loro arrivo in un paese europeo, di esternalizzare per così dire il problema, stringendo accordi con paesi terzi come quello siglato nel marzo 2016 con la Turchia, giusto cinque anni fa. L’accordo, come si può leggere meglio in un articolo di Internazionale del 18 marzo 2016 stabiliva grosso modo che in cambio di un congruo versamento di denaro (6 miliardi di euro in due tranches) da parte dell’Europa e dell’abolizione del visto d’ingresso nell’area Schengen per i cittadini turchi, la Turchia si sarebbe tenuta sul proprio territorio i profughi.

Il 28 febbraio del 2020, la Turchia recede dall’accordo e riapre le frontiere. La polizia greca cerca di respingere con la forza i migranti che vogliono passare, due migranti muoiono. La tensione tra Grecia e Turchia sale alle stelle. Ecco un articolo di Altreconomia  del 5 aprile 2020 che riporta il clima di allora.

In ogni caso il tappo è saltato e il flusso di persone lungo la rotta balcanica è ripreso con conseguenze e scenari diversi in ogni paese.

 

Grecia

Dalla Turchia il passaggio più “naturale” è verso la Grecia, sia lungo il confine terrestre che corre sull fiume Evros per 120 chilometri, sia verso le isole. Da segnalare che la situazione sulle isole, e in particolare a Lesbo, la più vicina alle coste turche e che ospita il campo profughi di Moria, il più grande sulle isole, è drammatica, sia per il numero di persone lì ammassate, 18.000 in una struttura pensata per 3.000, sia per il tempo infinito che sono costrette ad aspettare in condizioni simili alla detenzione. La nuova legge varata all’inizio del 2020 stabilisce che dalle isole i migranti possono andare sulla Grecia continentale soltanto dopo aver completato l’iter della richiesta d’asilo, procedura che richiede mesi quando non anni. Così, nel limbo dell’attesa restano adulti e minori anche non accompagnati. Nel giugno del 2020, si legge nel Il diritto d’asilo Report 2020 (pag 275), “erano registrate in Grecia 121.000 persone di cui 82.700 nella parte continentale, distribuiti in 28 campi governativi, e 38.300 sulle isole. Di queste il 50% erano afgani, il 20% siriani … e circa un terzo del totale erano minori, di cui più della metà sotto i 12 anni”.

A settembre del 2020, il grande campo di Moria va a fuoco. I migranti vengono trasferiti su due navi ferme in rada e soltanto 300 minori non accompagnati sono portati nella Grecia continentale. Un articolo di Internazionale dell’11 novembre 2020 descrive la situazione.

Forse, rispetto a quattro anni fa, quando il campo profughi di Idomeni, il più grande in Europa, vicino ai confini con la Macedonia del Nord è stato sgomberato per le pessime condizioni che i profughi erano costretti a sopportare, l’unica cosa veramente cambiata non è tanto la condizione dei migranti, ma l’ubicazione dei campi.

 

Macedonia

Il piccolo stato della Macedonia del Nord è il primo che si incontra arrivando dalla Grecia: nel 2019 ha registrato un afflusso di 40.000 persone, ma soltanto poco più dell’1% di queste ha presentato lì domanda di asilo. Di fatto la Macedonia cerca di respingere verso la Grecia i migranti in arrivo: ad esempio sono documentate violenze da parte della polizia macedone alla frontiera di Gevgelija, il 22 aprile del 2020.

 

Serbia

Quando l’Ungheria ancora non aveva innalzato barriere ai confini, il passaggio attraverso la Serbia era il più diretto per dirigersi verso il centro Europa. Ma, a partire dal 2016, l’Ungheria diminuisce le quote di persone ammesse da 500 a 50 a settimana, nel 2017 i passaggi consentiti diventano ancora più miseri, prima 20 e poi 10 a settimana per chiudersi del tutto. Risultato: la Serbia deve dotarsi di campi profughi per ospitare le migliaia di migranti (circa 30.000 quelli censiti dall’UNHCR in Serbia nel 2019), nella stragrande maggioranza intenzionati a chiedere asilo in paesi diversi. Con le frontiere ungheresi chiuse e i respingimenti in atto da parte della Croazia, il flusso dalla Serbia si sposta verso la Bosnia Erzegovina, che diventa a partire dal 2017 il paese “snodo” della rotta balcanica.

 

Bosnia Erzegovina

In mancanza di dati certi sui flussi in entrata e uscita, sappiamo dall’UNHCR che a fine 2019 la presenza di migranti in Bosnia ammonta a circa 30.000 persone. Solo 784 hanno però fatto lì domanda di asilo e di queste solo 16 nel 2018 e 33 nel 2019 hanno ricevuto lo status di rifugiato. In compenso non è prevista nessuna forma di protezione per motivi umanitari. Inoltre la Bosnia è un paese diviso in tre; la repubblica serba di Bosnia rifiuta ogni tipo di accoglienza, quindi soltanto nella federazione di Bosnia ed Erzegovina nascono campi di accoglienza informali gestiti dall’OIM (Organizzazione internazionale delle migrazioni) e finanziati dalla UE. I campi più ambiti sono nel cantone di Tuzla, il più vicino alla frontiera croata, da cui raggiungere la Slovenia.

Ne sorgono cinque, ma a settembre 2020 il campo di Bira viene chiuso e la maggior parte dei migranti si sposta verso il campo di Lipa, in una zona molto isolata. A Natale dello scorso anno, le strutture di questo campo vanno a fuoco, lasciando nel gelo migliaia di disperati. L’esercito bosniaco organizza una tendopoli di fortuna, ma la situazione come riportano le cronache dell’Ansa è indicibile: “le loro condizioni restano estremamente precarie, con forniture idriche assolutamente limitate, servizi igienici del tutto inadeguati e insufficienti, e con gli ospiti, fra i quali tanti minori, privi di calzature e indumenti adatti ad affrontare il gelo, costretti a un continuo contatto con un terreno coperto di neve o di fango”.  Ancora più toccante è il reportage su Internazionale del 12 gennaio 2121.

È da Lipa che si parte per il “game”, il gioco, come i migranti chiamano il tentativo di attraversare la Croazia e giungere in Slovenia. Un tentativo spesso fermato con la violenza e l’inganno.

Migranti in fila per ricevere un pasto caldo distribuito dagli operatori della Croce rossa all’ingresso del campo profughi di Lipa, Bosnia, 8 gennaio 2021. (Michele Lapini e Valerio Muscella, Fonte: Internazionale)

Croazia

L’unica vera politica della Croazia nei confronti dei migranti è quella dei respingimenti. Tra gennaio e settembre 2019, almeno 9487 persone sono state respinte alle frontiere croate secondo le stesse ammissioni del ministro dell’interno. Il Danish Refugee Council stima, tra il maggio 2019 e l’ottobre 2020, 21.422 riammissioni/respingimenti dalla Croazia verso la Bosnia. Il tutto condito con una certa dose di violenza. Come si legge nel Il diritto d’asilo Report 2020 già citato (pag. 283), “Il 19 giugno 2020 Felipe Gonzales, relatore speciale per l’Onu, ha presentato una dura denuncia contro la Croazia nella quale evidenziava come ‘il violento respingimento dei migrati senza passare per alcuna procedura ufficiale, valutazione individuale o altre garanzie di giusto processo costituisce una violazione del divieto di espulsioni collettive e del principio di non respingimento’”. Il Guardian del 21 ottobre 2020 denuncia comportamenti umilianti della polizia nei confronti dei migranti marchiati con croci rosse e arancioni sulle loro teste, di sequestro illegale di soldi e telefoni.

Attraversare il breve tratto di territorio croato è un “game”, un azzardo che spesso finisce male. Del resto, come vedremo, non è detto che arrivare in Slovenia garantisca un buon risultato.

 

Slovenia

La piccola repubblica costituisce anch’essa un luogo di transito per i migranti, tant’è che le domande di asilo lì presentate nel corso del 2019 sono state 3821, di cui 668 da parte di minori non accompagnati e a fine anno quelle ancora pendenti erano 329. I centri di accoglienza sono isolati e sottodimensionati; spesso i migranti vi sono trattenuti di fatto. Oltretutto è prassi sistematica da parte della polizia slovena la riammissione in Croazia delle persone entrate illegalmente, senza concedere loro la possibilità di richiedere il diritto di asilo come denuncia Amnesty International nel suo Report 2019 .

 

Italia

Dire che l’Italia sia l’ultima tappa della rotta balcanica non è corretto, perché quasi sempre i migranti sono intenzionati ad andare in un altro paese europeo, dove magari hanno già parenti o conoscenti. L’Italia ha, o meglio aveva, un sistema di accoglienza piuttosto ben rodato che si basa tra l’altro sull’attività di alcune ONG storiche nate negli anni novanta per accogliere i profughi dalla ex Jugoslavia in guerra. Ad esempio, al confine italo sloveno di Fernetti opera la struttura di accoglienza “Casa Malala”: ebbene, il rapporto statistico redatto da CTS e fondazione Caritas di Trieste evidenzia come in tutte le 1451 visite mediche effettuate nel 2019 in quella struttura, risulta dalle testimonianze degli ospiti che tutti hanno subito respingimenti dalla Slovenia alla Croazia e da qui alla Bosnia, essendo vittime in numerosi casi di gravi episodi di violenza se non di tortura. Lo riporta Il diritto d’asilo Report 2020  a pag. 286).

Il dato nuovo, gli scorsi anni sporadico, ma che dal maggio 2020 è diventato assai più comune è il ruolo che anche le forze di polizia italiane stanno assumendo nella catena di riammissioni e respingimenti che riportano i migranti al punto di partenza in Bosnia, cioè in un paese fuori dall’Unione europea. È lo stesso prefetto di Trieste Valerio Valenti ad annunciare a maggio 2020 maggiori controlli alla frontiera per contrastare l’immigrazione irregolare e ridare nuova vita agli accordi di riammissione italo-sloveni, accordi che per altro risalgono al 1996 in un contesto completamente differente. Sul punto vi sono sollecitazioni da parte dell’Associazione Studi giuridici sull’Immigrazione (ASGI), e vi è un’interrogazione del parlamentare Magi al ministero dell’Interno. La risposta del ministero è che essendo Slovenia e Croazia nell’Unione Europea, sono da considerarsi paesi sicuri in cui è possibile rimandare migranti che non siano minori e che non abbiamo già ricevuto protezione internazionale. Il risultato è che dal 1 gennaio al 1 giugno 2020 sono state compiute 273 riammissioni dall’Italia alla Slovenia e dall’1 giugno al 31 agosto, altre 634. Per capire meglio i termini giuridici delle riammissioni è interessante leggere il documento di ASGI che contesta la risposta del governo italiano, in cui tra l’altro si afferma: “il diritto degli Stati di respingere o di espellere chi non ha titolo per entrare o rimanere sul territorio nazionale, seppur lecito in quanto espressione del principio di sovranità statale, trova dei precisi limiti in quanto gli Stati hanno non solo l’obbligo di riconoscere, garantire e proteggere i diritti umani delle persone che si trovano sotto la propria giurisdizione, ma anche il dovere di rispettare i trattati sui diritti umani e di non trasformarli in norme prive di efficacia.”

Dietro i freddi numeri delle riammissioni dall’Italia alla Slovenia, da qui alla Croazia e infine in Bosnia, ci sono persone molti delle quali sono tra i disperati che abbiamo visto a piedi nudi nella neve a Lipa nel febbraio di quest’anno. E il “game” ricomincia. Fino a quando?

 

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