Le foto dei corpi senza vita dei tre bimbi su una spiaggia libica chiamano pesantemente in causa l’Europa. Al Consiglio Europeo di ieri (martedì per chi legge, ndr) il presidente del Consiglio Mario Draghi ha affermato: «Se l’Europa dorme, l’Italia andrà da sola».
Draghi ha giustamente posto l’Unione Europea davanti alle sue responsabilità. Sono anni che l’Italia pone, assieme alla Grecia e alla Spagna, cioè ai Paesi di primo ingresso, la necessità di una strategia europea nella gestione delle migrazioni. Risulta evidente a tutti ormai che il Regolamento di Dublino non è lo strumento adatto, anzi è anche iniquo perché fa carico ai Paesi di primo ingresso di occuparsi dei migranti assolvendo da questa responsabilità gli altri Paesi membri dell’Unione, quando sappiamo tutti che i flussi migratori non riguardano questo o quel Paese, ma l’intera Europa. Chi sbarca sulle coste italiane o spagnole o greche, vuole entrare in Europa. Tanto è vero che appena sbarcati, molti ti chiedono di andare in Germania, in Francia, in Svezia, a seconda dove pensano che vi siano più opportunità o dove ci sono comunità del loro Paese. Il problema è europeo. E l’Europa deve affrontarlo in modo serio.

In che modo, con quale visione e quali priorità?
Occorre affrontare il problema migratorio in tutta la sua articolazione. C’è un tema che riguarda i profughi che fuggono da guerre e situazioni drammatiche di persecuzione per i quali occorre attivare strumenti adeguati come i corridoi umanitari. Poi ci sono i migranti economici. Sono anni che da parte dell’Unione Europea e di molti capi di governo si usa una espressione ipocrita…

Vale a dire?
“Sì ai profughi, no ai migranti economici”. Un’ipocrisia, perché i migranti economici non solo ci sono, ma sono una necessità dell’Europa. A supporto di questo assunto vi sono incontestabili dati demografici, di cui nessuno mai tiene conto. L’Europa di qui alla fine del secolo, cioè nei prossimi 80 anni, avrà 60 milioni di abitanti in meno. L’Italia ne avrà da 6 a 7 milioni in meno. Quand’anche cambiassero i tassi di natalità, siccome non mandi a lavorare un neonato, prima che ipotetici tassi di natalità più alti possano incidere sul mercato del lavoro, siamo al 2050. La verità è che l’Europa ha bisogno di un “contributo demografico aggiuntivo” che può solo derivare da migrazioni. Anziché chiudere gli occhi, affrontiamo il problema nella regolarità e nella trasparenza. Il che vuol dire accordi bilaterali con i Paesi di origine e di transito, concordando le quantità e i profili che possono essere accolti in ogni Paese, in modo regolare, alla luce del sole, predisponendo anche le politiche di accoglienza e di integrazione necessarie. Si tratta di governare un fenomeno e non di chiudere gli occhi. E lì dentro ci sta anche la questione della “redistribuzione” di chi in ogni caso sbarca sulle coste in modo irregolare chiedendo asilo. Ma se vogliamo stroncare il traffico di migranti, il modo più utile è gestire flussi in modo regolare e trasparente. Ha fatto bene Draghi a dire con forza che bisogna affrontare il tema, aggiungendo, rivolto agli altri leader europei, che se non lo farete voi, lo faremo noi, pur sapendo che farlo da soli è più difficile e complicato. Ma la frase molto netta di Draghi indica la volontà di affrontare il tema e col piglio giusto. La presidente della Commissione europea Von der Leyen ha avanzato la proposta di un nuovo Patto per l’immigrazione e per l’asilo. Si tratta di un punto di partenza. È ancora una proposta troppo timida che indica però la consapevolezza che bisogna andare oltre il Regolamento di Dublino. Solo che questo andare oltre è lento. Ancora ieri (martedì, ndr) molti Primi ministri hanno frenato, invocando altro tempo di riflessione. Ma le cose non accadono sulla base del tempo che decidiamo noi, ma sulla base del tempo reale. E siccome le migrazioni non sono sorte improvvisamente da qualche settimana, è tempo non di riflettere, ma di decidere. L’assenza di una strategia europea è tanto più evidente di fronte alle criticità. Basta pensare a ciò che è accaduto una settimana fa a Ceuta nel braccio di mare che separa il Marocco dalla Spagna. Oppure a ciò che è accaduto l’anno scorso nell’isola di Lesbo nell’Egeo. Il che, tra l’altro, mette in luce la strumentalità della destra italiana, che rappresenta il problema migratorio come se investisse solo il nostro Paese. I Paesi rivieraschi di primo ingresso sono tutti investiti dallo stesso problema. E dunque serve una politica europea.

È una forzatura dire che il futuro dell’Europa, e quindi dell’Italia, si gioca in Africa?
No, non è una forzatura. E anche qui parto dai dati demografici. In questo momento vivono in Africa 1 miliardo e 300 milioni di persone. Nel 2050 saranno due miliardi e mezzo. A fine secolo saranno 4 miliardi. Qualsiasi persona di buon senso capisce che il destino di 4 miliardi di persone non può essere risolto dalle migrazioni. Il vero tema strategico è come si mette in campo una politica per lo sviluppo dell’Africa. E l’Europa deve capire che questa è una sua priorità. In Africa c’è la Cina. Nell’Africa australe c’è l’India. Dell’Africa si occupa il Brasile, grazie alla comune lusofonia con Angola e Mozambico già colonie portoghesi. Non manca la presenza di nazioni europee: Francia e Gran Bretagna grazie a relazioni ereditate da un lungo periodo coloniale; La Germania in virtù della sua potenza economica; e anche l’Italia che, a una storica proiezione nel nord Africa, ha aggiunto negli ultimi anni una crescente presenza nell’Africa centrale e australe, facendo diventare l’Italia terzo Paese UE per investimenti. Benissimo. Ma ci vuole una strategia europea che persegua un approccio globale con quel Continente, superando l’approccio tradizionale che separa le politiche per il Nord Africa dalle politiche per l’Africa subsahariana, centrale e australe. Questo doppio binario non funziona più, e a dimostrarlo sono proprio i flussi migratori. A Lampedusa stanno arrivando migranti che partono dal Niger, dal Centrafrica, dal Gabon, attraversano il Sahara, raggiungono le coste libiche o tunisine e poi arrivano in Italia. Il Sahara non è più una barriera divisoria. Dobbiamo assumere che Europa, Mediterraneo e Africa sono un unico grande “macrocontinente verticale” chiamato a dare soluzioni comuni a problemi e interessi comuni. In realtà la precedente Commissione europea, guidata da Junker, aveva varato un “Africa plan” con una dotazione finanziaria, tuttavia modesta e soprattutto con una lentezza di applicazione che cozza con l’urgenza di interventi adeguati. La nuova Commissione deve rilanciare quel Piano espandendone la dimensione e onorando gli impegni che sono stati concordati nel vertice Unione Africana-Unione Europea promosso meritoriamente dalla Presidente della Commissione Von der Leyen all’inizio del suo mandato. Investire in Africa e sull’Africa, vuol dire investire su un continente giovane con il 50% della popolazione che ha meno di 30 anni e che chiede formazione. C’è la cruciale questione dell’empowerment femminile. C’è il tema del cambiamento climatico che in Africa significa lotta alla desertificazione e la dilapidazione di enormi risorse che devono diventare la base di uno sviluppo sostenibile. E c’è il tema di come si sostiene il democratic institutions building e si promuove stabilizzazione in un continente percorso da sanguinosi conflitti.

E guardando al Mediterraneo la situazione è particolarmente critica…
Si, guardando al Mediterraneo allargato, dallo Stretto di Hormuz sino allo Stretto di Gibilterra, è una sequenza di conflitti e di instabilità: la criticità dell’Iran, la fragilità dell’Iraq, guerra civile in Siria e in Yemen, l’instabilità istituzionale del Libano, la critica situazione in Corno d’Africa. E poi la Libia e le gravi difficoltà in cui versa la Tunisia. Per non parlare del Sahel con il conflitto in Mali e la penetrazione jihadista. L’Europa deve avere una strategia per sedare i conflitti e volgerli a soluzioni politiche come si sta facendo, sotto impulso italiano, in Libia.
La politica dell’Italia sta muovendo nella direzione giusta ?
C’è stata una virata, già con i governi Renzi, Gentiloni, Conte e adesso ancor più forte con il governo Draghi. Su decisione del Ministro Di Maio l’Italia ha lanciato, nel novembre scorso, un “Partenariato per l’Africa” con l’ambizione di sviluppare una politica per l’intero continente, dalla Libia al Sudafrica. L’Africa e il Mediterraneo sono alle porte di casa e l’Europa deve creare le condizioni per costruire insieme il futuro. Le parole di Draghi al Consiglio europeo sono una frustata sulle migrazioni, ma come vede dalle migrazioni, tirando il filo, vai a una cosa molto più grande. L’Europa deve avere una strategia per il destino di 4 miliardi di persone e costruirlo insieme a loro. Perché il futuro è comune.