Risale al 6 novembre 2023 il Protocollo di intesa per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria che la Presidente del Consiglio italiana ed il Primo Ministro albanese sottoscrivono a Roma. L’obbiettivo dell’accordo si presenta ambizioso. Viene infatti previsto che l’Italia, a proprie spese, crei e gestisca in Albania due centri per i migranti, uno di  ingresso ed un altro di permanenza ; che i centri diventino operativi già nella primavera del 2024; che siano in grado di accogliere, nello stesso, tempo fino a 3.000 persone e, nel corso dell’anno, garantire il flusso complessivo massimo di 36.000.

Dapprima il Governo italiano propende per la diretta applicazione del Protocollo senza che il Parlamento debba pronunciarsi. Senonché non poche critiche vengono sollevate con il richiamo all’art. 80 della Costituzione, secondo tocca alle Camere autorizzare il Presidente della Repubblica alla ratifica – e cioè all’approvazione  che impegna lo Stato – di taluni trattati internazionali tra cui quelli  “di natura politica” o che comportano “oneri alle finanze”. Il 18 dicembre il Governo si determina quindi a presentare alla Camera dei Deputati il Disegno di legge di ratifica ed esecuzione del Protocollo. Il 24 gennaio 2024, la Camera approva rapidamente il testo,  poi trasmesso al  Senato.  Nel contempo, sull’altra sponda dell’Adriatico, il 6 dicembre 2023, 30 deputati di opposizione chiedono alla Corte Costituzionale di pronunciarsi in via preventiva sulla costituzionalità del Protocollo. Per i ricorrenti, poiché l’accordo tratterebbe di questioni collegate alla sovranità nazionale ed ai diritti fondamentali, la firma con l’Italia da parte del Governo necessiterebbe della preliminare autorizzazione del Presidente della Repubblica. Senonché, il 29 gennaio 2024 il ricorso viene respinto dai giudici costituzionali di Tirana la cui conclusione, stando alle prime notizie di agenzia,  è che l’accordo non altera né la sovranità né l’integrità territoriale dell’Albania.

        A metà dicembre 2023 la Presidente della Commissione Europea riserva parole di apprezzamento per il Protocollo italo-albanese, indicato come prova di pensiero innovativo in quanto fondato sull’equa condivisione delle responsabilità con i Paesi terzi e in linea con gli obblighi previsti dal diritto internazionale ed europeo. Senonché, circa un mese prima, il  Commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa si esprime in termini assai distanti dall’aperto appoggio poi manifestato dai vertici dell’Unione Europea : “Il memorandum d’intesa solleva una serie di importanti questioni sull’impatto che la sua attuazione potrebbe avere  sui diritti umani dei rifugiati, dei richiedenti asilo e dei migranti. Esse riguardano, tra l’altro, lo sbarco tempestivo, l’impatto sulle operazioni di ricerca e soccorso, l’equità delle procedure di asilo, l’identificazione delle persone vulnerabili, la possibilità di detenzione automatica senza un adeguato controllo giurisdizionale”.

        Il principio ispiratore dell’accordo appare in sintonia con il crescente favore per la  esternalizzazione della gestione dei migranti irregolari al fine di limitarne e impedirne l’ingresso negli Stati. Nella sua forma, per ora, più estrema, il dispositivo, fondato sull’accordo tra Stati,  consiste nel trasferimento forzoso dei migranti dal Paese di arrivo ad altro Paese cui spetta poi di disporre del destino di costoro in conformità alla propria legislazione. Un esempio di tale meccanismo si ritrova nell’accordo raggiunto dal Regno Unito con il Ruanda, che, dopo un lungo e travagliato iter, a metà gennaio 2024 ottiene la ratifica della Camera dei Comuni.

Il Protocollo condivide con il recente trattato  britannico l’obbiettivo di decidere della sorte dei migranti irregolari al di fuori dei confini nazionali.  Se ne differenzia però nell’impianto. L’accordo non prevede, infatti, alcuna  cessione, o delega, di poteri dall’Italia all’Albania. L’una si limita a concedere due aree e sorvegliarne il perimetro esterno, mentre il nostro Paese si fa carico di organizzarle ed amministrarle in  autonomia e a proprie spese.  Al riguardo l’art.4 del Protocollo statuisce che le “strutture..sono gestite dalle competenti autorità della Parte italiana secondo la pertinente normativa italiana ed europea. Le controversie che possano nascere tra le suddette autorità e  migranti accolti nelle suddette strutture sono sottoposte esclusivamente alla giurisdizione italiana”. Quanto ai costi di  allestimento dei centri, il Disegno di legge , ora all’esame del Senato, autorizza la spesa di oltre € 47.7 milioni per il solo 2024.

Taluno con efficacia e lucidità parla della nascita di enclave  italiane in terra albanese  in cui vanno condotti  i migranti  imbarcati in acque extra territoriali su navi delle autorità italiane anche a seguito di operazioni di soccorso. Qui li attende la detenzione amministrativa in attesa delle decisioni sul loro status, da adottarsi con procedura accelerata. Benché interamente nazionalizzato, il trattamento riservato dal Protocollo ai migranti concentrati in territorio extra-italiano, non manca di suscitare perplessità.  Così, da un punto vista strettamente giuridico , si osserva che nulla al momento viene disposto sulla sorte da riservare a persone minori e vulnerabili. Invero, per tutti costoro la legge in vigore in Italia prevede non centri di detenzione ma idonee strutture di accoglienza. Ci si chiede , poi, se sia conforme alla normativa europea il trattamento fuori dell’Italia delle domande di protezione internazionale che i migranti presenteranno all’arrivo nei centri albanesi.

Sul piano poi dell’applicazione concreta del Protocollo, ancor più forte  è l’inquietudine che suscita il possibile scenario futuro  di centri segnati da sovraffollamento, scarsità di risorse, inadeguatezza servizi, assistenza legale ammessa in via pressoché a distanza, opacità di gestione da lontananza.

(Alberto Perduca, 29 gennaio 2024) 

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