Menzione speciale del Basque Culinary World Prize e riconoscimento come una delle “Women of Food” del Corriere della Sera nel 2021, Ana Estrela ha fatto notizia grazie al suo progetto “Ethnic Cook”. Nata 58 anni fa a Salvador De Bahia, l’anima nera del Brasile, il luogo in cui giungevano le navi negriere nell’epoca del commercio degli schiavi, Ana è una donna imprenditrice che è stata ospite il 13 ottobre all’incontro sull’imprenditoria femminile organizzato dal Festival dell’Accoglienza. “In Brasile ero ballerina e assistente di coreografia della Companhia Brasiliana di Danças Populares. Ero realizzata e non avevo nessuna intenzione di lasciare il mio paese”.

Ana però nel 1999 si vede costretta a seguire il marito di cittadinanza italiana e arriva a Bari dove “sono capitata per caso, ma rimasta per scelta”, afferma. Inizia a darsi da fare attraverso progetti nelle scuole che coniugano arte, teatro, ballo, fino quando non viene invitata a lavorare con rifugiati e vittime di torture. “Operare per loro mi ha permesso di toccare con mano le difficoltà che vivono i migranti – racconta Ana Estrela –, dallo sfruttamento del lavoro ai viaggi della speranza. Anche se non sono una rifugiata, resto una migrante e so cosa vuol dire la sofferenza del distacco dalla propria terra”. Di qui, la nascita dell’associazione culturale Origens per promuovere nel territorio la divulgazione della cultura brasiliana e aggregare persone di nazionalità e culture differenti.

Da queste premesse nasce “Ethnic cook” – gustando il mondo, laboratorio di cucina multietnica, grazie a un piccolo finanziamento della regione Puglia. Protagoniste sono donne migranti che, dopo aver frequentato un corso di cucina e aver conseguito la certificazione Haccp, hanno cominciato a cimentarsi in cene a tema, laboratori e catering per ristoranti e privati. “La cucina è l’elemento che permette di far uscire i ricordi, di condividere le emozioni, di ritornare alle proprie origini – spiega Ana -. All’inizio giravamo per i ristoranti con l’obiettivo di far conoscere i nostri piatti etnici: Molfetta, Barletta, Canosa di Puglia. Giravamo la regione e portavamo la nostra cucina e le nostre contaminazioni.

Un percorso di inclusione sociale e lavorativa che coinvolgeva 26 persone di 16 nazionalità diverse”. Ethnic cook è stata una cucina itinerante per sette anni, finché attraverso il bando Urbis del Comune di Bari ha trovato sede presso i locali dell’Istituto Redentore dei Salesiani, nel quartiere Libertà. Apre così nel 2020 il bistrot sociale multietnico “Ethnic Cook”, diventato un polo culturale in cui incrociare esperienze, vissuti, tradizioni. Il bistrot organizza presentazioni di libri, concerti, seminari, spettacoli, cooking show, visioni di film. In pochi anni, il progetto nato nel 2013 ha dato vita a quattro festival di street food con Eataly Bari, alla prima mensa etnica del Sud Italia e al primo bistrot sociale multietnico. E’ inoltre entrato a far parte della piattaforma Food for inclusion dell’UNHCR ed è stato scelto dall’Università degli studi di Bari e Fondazione ISMU come una delle tre migliori pratiche al Sud che valorizzano le competenze dei migranti. “Ogni anno, da quando è nato il progetto – conclude Ana -, organizziamo un corso gratuito sulla ristorazione destinato a donne rifugiate e migranti. Dopo il corso cerchiamo dei percorsi di inserimento lavorativo per loro”.


La grande risonanza che questa piccola attività ha avuto e i riconoscimenti ufficiali ottenuti testimoniano che, nell’era delle strategie di marketing e della comunicazione compulsiva, c’è ancora spazio per le buone pratiche. Quelle nate dal basso, dove più che parole lanciate in rete, ci sono visione, creatività e lavoro tenace di donne migranti alla ricerca di un loro ruolo in una nuova società di cui avrebbero piacere di far parte. (Marcella Rodino)

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