Con il favore forse del clima natalizio, con quel tanto di buoni sentimenti che ancora riesce a smuovere, almeno una parte del sistema mediatico italiano si è accorto della drammatica situazione delle persone in cerca di asilo bloccate in Bosnia e lasciate senza assistenza “ così esordisce Maurizio Ambrosini in un articolo apparso su Avvenire il 5 gennaio.

Sul nostro sito abbiamo cercato di seguire la tragica situazione della rotta balcanica segnalando le inchieste di Nello Scavo apparse su Avvenire. La Croazia si è rivelata il punto più critico di una vicenda che si è consumata a lungo in una sostanziale indifferenza ai confini della Ue. Lì, i migranti vengono sistematicamente picchiati, derubati e ricacciati oltre il confine con la Bosnia. Soltanto tra gennaio e novembre del 2020, il Danish Refugee Council ha registrato 15.672 respingimenti dalla Croazia verso la Bosnia, classificandone come «violenti» il 60%.

In una dura lettera datata 7 dicembre 2020, indirizzata al Presidente del Consiglio e al Ministro della Sicurezza della Bosnia-Erzegovina, la commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, denuncia la crisi umanitaria che stanno vivendo migliaia di migranti e richiedenti asilo arrivati nel paese attraverso la rotta balcanica e chiede di risolvere con urgenza alcune criticità del sistema che riguardano l’accoglienza, l’accesso e la durata della procedura di asilo, la protezione dei minori non accompagnati.

L’incendio della tendopoli di Lipa, vicino al confine Croato, avvenuto il 24 dicembre scorso e il freddo inverno balcanico rendono la questione dell’accoglienza, già di per sé drammatica, non più differibile.
Nel campo tendato allestito lo scorso aprile a Lipa, mancavano elettricità ,acqua corrente riscaldamento in una zona dove le temperature scendono sotto zero . Inoltre, da quando il centro di Bira è stato chiuso e i migranti trasferiti a Lipa, il campo era diventato decisamente sovraffollato (ospitava circa 1.400 profughi).
La Caritas riferisce che le persone ospitate al momento della chiusura erano finite per strada senza una sistemazione alternativa. I tentativi di riaprire l’ex campo Bira (nella città di Bihac) o di allestire l’ex caserma in località Bradina (non distante da Sarajevo) da parte delle autorità locali sono falliti per le proteste dei cittadini e degli stessi politici locali.

La situazione dei migranti nel campo di Lipa e, più in generale, nel cantone dell’Una-Sana in Bosnia-Erzegovina “è inaccettabile e deve essere risolta immediatamente”. Si tratta di un “disastro umanitario che avrebbe potuto essere evitato se le autorità” del Paese balcanico “avessero agito come richiesto già prima del periodo natalizio” ha ammonito un portavoce della Commissione Ue, evidenziando che “si tratta di salvare la vita di centinaia di persone” e che il Paese balcanico ha “obblighi internazionali e umanitari”.

Il punto da cui ripartire, nel 2021, in Europa, sarà fondare un nuovo patto sulla migrazione e l’asilo   

Negli ultimi cinque anni, nove Stati membri dell’Unione hanno iniziato e completato recinzioni alle frontiere esterne comunitarie. Un’estensione di 1005 chilometri dai Paesi Baltici alle enclaves spagnole di Ceuta e Melilla in Marocco. L’aumento del filo spinato alle frontiere in questi 12 mesi corrisponde alla mancanza di volontà politica di risolvere le crisi migratorie. In questi giorni è uscito il Libro Nero dei respingimenti, un rapporto di 1.500 pagine pubblicato dal Border Violence Monitoring Network e frutto di quattro anni di lavoro, in cui sono state raccolte 892 testimonianze e documentata l’esperienza di 12.654 vittime di violazioni dei diritti umani lungo la rotta balcanica.

Sul confine tra Bosnia e Croazia ci sono anche le mine a rendere, se possibile, più pericoloso il tentativo di percorrere gli ultimi  300 chilometri di cammino verso l’Italia, si legge nel reportage di Nello Scavo, inviato a Bojna (confine Croazia–Bosnia), su Avveire di  sabato 9 gennaio 2021.
Ne prilazite”, avverte il cartello. “Non avvicinarsi”, perché questo è uno dei campi minati più pericolosi al mondo.
Un viaggio tra edifici bombardati, eredità della guerra nella ex Jugoslavia, e chilometri di fango e torrenti senza anima viva. Non ci sono mappe stradali aggiornate, i telefoni diventano muti, e a ogni passo c’è da sperare di non essere incappati in un sinistro souvenir di guerra. Sono le cosiddette “aree sospette di mine”. Quasi il 99% delle trappole esplosive è ancora nascosto tra i boschi.
Il centro croato per lo sminamento, che da anni lavora incessantemente per mettere in sicurezza i quadranti più a rischio, stima almeno 18 mila esplosivi antiuomo ancora nascosti, oltre a un incalcolabile quantità di bombe inesplose. Dal termine del conflitto oltre 500 persone sono morte dopo aver sentito un micidiale clic sotto agli scarponi, più di 1.500 sono i mutilati.

 

 

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