La libertà di scelta purtroppo è un miraggio

Il rapporto 2023 della Fondazione Migrantes racconta una realtà in peggioramento, sia dal punto di vista dei numeri delle persone costrette a migrare, sia delle condizioni dei sistemi di “accoglienza” in Italia e in Europa.

Alla presentazione torinese del 14 marzo scorso, Chiara Marchetti, curatrice insieme a Maria Cristina Molfetta dell’ultimo Rapporto sul diritto d’asilo 2023, comunica innanzitutto i numeri: le migrazioni forzate (dovute soprattutto alle guerre) hanno subito una forte escalation, arrivando a coinvolgere 114 milioni di persone, una ogni 71 abitanti del pianeta. La maggioranza di queste persone fugge in zone vicine al luogo di origine, il paese stesso o un paese vicino e solo una esigua minoranza cerca di arrivare in Europa.

E quel che capita in Europa è abbastanza noto: di tutti i richiedenti asilo solo una parte minoritaria riesce a ricevere l’agognato documento, dopo lunghe trafile burocratiche, spesso trascorse in luoghi che definire di accoglienza è un puro eufemismo. Le domande vengono respinte soprattutto con la motivazione che i richiedenti siano “migranti economici”, oppure perché provengono da un paese che qui si definisce “sicuro”, all’unico scopo di respingere chi vi sia originario.

Le maglie si restringono progressivamente e le politiche sulla migrazione sono diventate vieppiù rigide negli ultimi anni in tutta Europa e in Italia in particolare, con un’impennata nell’ultimo anno a partire dal cosiddetto decreto Cutro. Molti centri di prima accoglienza sono stati chiusi; i servizi forniti al loro interno sono sempre più carenti. È cambiato del tutto l’approccio: il fine delle politiche migratorie è respingere le persone, dissuadere le partenze, rimandare indietro chi riesce ad arrivare. Al costo di un aumento dei naufragi e dei morti in mare; ma anche a discapito dei diritti della persona migrante.

Ulrich Stele, avvocato, porta l’esempio di una delle ultime trovate nel nuovo Patto sul diritto d’asilo raggiunto lo scorso autunno in Europa e che dovrà essere votato dal Parlamento europeo questa primavera. In esso si stabilisce che tutte le pratiche per i richiedenti asilo vengano esplicate in strutture di frontiera, in zona di transito. Il modello è quello di un aeroporto, da replicare sulle frontiere terrestri e marittime, nei paesi che fanno da confine esterno dell’Europa, Grecia, Italia, Malta, Spagna, Cipro…. Il che significa che dovranno essere centri alle frontiere, senza far entrare nel territorio europeo i richiedenti asilo che, si suppone, resteranno segregati in attesa di risposta alla loro domanda. Risposta che può arrivare dopo mesi, senza che la persona abbia modo di allontanarsi, in una sorta di detenzione non dichiarata. Strutture che assomiglieranno ai campi costruiti sull’isola di Chio e Lesbo; o come quelli che progetta il governo italiano di costruire in Albania, lontano da occhi e orecchie indiscrete. Chi non ha diritto d’asilo torna al paese d’origine.

Questa deriva delle politiche migratorie getta nello sconforto l’avvocato Stele che si chiede che fine abbiano fatto i diritti umani, tra cui il diritto d’asilo e anche quello di non essere detenuto senza aver commesso un reato.

Michele Rossi, del Ciac di Parma, conferma come dallo scorso anno ad oggi, la situazione del cosiddetto sistema di accoglienza stia progressivamente peggiorando: ritorno alla segregazione, allungamento dei tempi di trattenimento, richiesta di fideiussioni per non andare nei CPR, campi in Albania… Il linguaggio nei confronti nella migrazione è sempre più mutuato dal linguaggio bellico. E porta l’esempio di un discorso del 15 settembre 2023, della presidente del consiglio Giorgia Meloni in cui ha esplicitamente dichiarato “Sarà dato mandato di costruire strutture in luoghi a bassissima densità abitativa, facilmente perimetrabili e sorvegliabili dove internare chi entra illegalmente in Italia.” E rivolgendosi ai migranti direttamente ha aggiunto “Non vi conviene affidarsi ai trafficanti di esseri umani perché vi chiedono molti soldi, vi mettono su barche che spesso non sono attrezzate per fare quei viaggi. E in ogni caso, se entrate illegalmente in Italia, sarete trattenuti e rimpatriati.”

Michele Rossi racconta l’esperienza della migrazione dal punto di vista di un ragazzo tunisino (proveniente da un paese considerato sicuro dal nostro governo). “Come sono arrivato in Italia, sono diventato un clandestino, per l’Italia non esisto e non posso quindi accedere a nessun servizio, né lavorare legalmente; però io continuo a dover saldare il mio debito migratorio che non finisce certo quando arrivo a destinazione, rimane un’ipoteca su di me per tempi molto lunghi e posso saldarlo soltanto se riesco a lavorare.” L’unico modo per emergere dalla illegalità è fare domanda di asilo; con poche certezze di ottenerlo e con il lungo limbo in cui si rimane tra la presentazione della domanda e la risposta.

Alberto Perduca, ex magistrato, rispetto alle nuove regole in materia di migrazione usa la metafora del piano inclinato che rende sempre più ardue le possibilità di arrivo in Europa; chi inizia a percorrerlo rischia continuamente di scivolare indietro al punto di partenza. Alla base delle nuove regole c’è quello che lui definisce “diritto immaginativo”. Appartiene a questa categoria il cosiddetto Piano Mattei per l’Africa, ma anche l’accordo con l’Albania per costruire in quel paese dei centri per rinchiudervi i richiedenti asilo in attesa dell’espletamento delle pratiche. Accordo che in un primo tempo il governo pensava di concludere senza nemmeno un passaggio parlamentare, in barba all’articolo 80 della Costituzione. Poi il Parlamento ha approvato e l’accordo è concluso. Ci sono 50 milioni per la prima sistemazione delle aree dove dovranno sorgere due centri per l’”accoglienza” dei migranti, centri che risponderanno ai criteri enunciati da Meloni, essere costruiti in aree semideserte, sorvegliabili e perimetrabili…  Si prevede che ogni centro ospiti fino a 3000 migranti e che nel corso dell’anno ne passino 36.000. A parte il timore per quale sarà il trattamento delle persone nei centri, Perduca si chiede come saranno gestite le pratiche per la richiesta di asilo. Da remoto in videoconferenza? Annullando in questo modo il rapporto diretto con i difensori, ma anche con i giudici e i responsabili dei procedimenti? Del resto, è impossibile pensare a un andirivieni dall’Italia all’Albania di funzionari avvocati e giudici… Lontananza, opacità, scarsa visibilità giocano a favore di condizioni deleterie.

L’unica voce ufficiale rimasta in Europa che ancora parla di diritti umani e vede questi processi in atto: l’esternalizzazione, la permanenza dei migranti nei centri continuamente prolungata come una lesione dei diritti umani fondamentali. Questo è il Consiglio di Europa. Meno male che c’è, anche se per ora la sua voce incide poco sui processi decisionali.

Lisine Harutunyan e Monira Najibada, portano la loro testimonianza di richiedenti asilo. Lisine è arrivata dall’Armenia con il marito e due figlie e ha visto dapprima respinta la sua domanda, ha fatto ricorso e finalmente è stata accolta. Nel frattempo lei e la sua famiglia sono vissute in vari luoghi, prima a Chialamberto, poi a San Mauro, poi a Torino; costretti a cambiare perché le strutture che le avevano accolte non erano più in grado di ospitarle. Intanto però le figlie sono andate a scuola lei e il marito hanno trovato un lavoro. All’ultimo da Torino si sono sentiti proporre una casa di accoglienza in un’altra provincia del Piemonte e come avrebbero fatto con il lavoro? Fortunatamente sono riusciti a trovare un posto più vicino… Monira al suo paese ha studiato giurisprudenza e ha lavorato per 4 anni nei tribunali del suo paese. Qui è arrivata come rifugiata. Ha il diritto d’asilo ma non riesce a far valere i suoi titoli di studio e le sue esperienze lavorative. E vorrebbe continuare a lavorare nel suo campo, quello della legge e della giustizia…

Un’ultima testimonianza è quella di Ibrahim Ahmed dell’Associazione Community Matching, che si occupa di affiancare ai migranti un amico italiano o che è da più tempo nel nostro paese che aiuti a capire il funzionamento degli uffici, dei servizi, ma anche a conoscere la città, le abitudini, il cibo del posto in cui si trovano. Ibrahim parla però dell’aumento dei casi psichiatrici tra i migranti, al trauma del viaggio, della traversata in mare, della violenza dei trafficanti, si aggiunge quello di sentirsi respinti dal paese verso cui si nutrivano speranze. Tanti ragazzi si rialzano, dice Ibrahim, ma c’è anche chi non ce la fa..

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy