Nello Scavo su Avvenire di mercoledì 29 marzo 2023 (articolo che qui riproponiamo) ci riporta la relazione dell’Alto commissario per i diritti umani che accusa i guardacoste e i campi di prigionia statali libici. Fino a quando il nostro Paese continuerà a finanziare la Libia e a fornirle motovedette?

Il dossier sulla Libia su cui indaga la Corte penale Internazionale nelle ultime ore ha visto arrivare sul tavolo degli inquirenti dell’Aja un nuovo atto d’accusa contro le autorità di Tripoli. Lo firma la Commissione indipendente Onu sui diritti umani, che accusa la cosiddetta guardia costiera libica di essere parte attiva nella filiera del traffico di esseri umani.

La Commissione indipendente Onu sui diritti umani accusa la guardia costiera libica di essere parte attiva nella filiera del traffico di esseri umani.

«Centinaia di migranti e rifugiati intercettati o salvati in mare dalla Guardia Costiera e da altri enti sono scomparsi dopo essere stati sbarcati nei porti libici. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) – si legge nel report visionato da Avvenire – ha riferito che questi individui sono esposti al sequestro da parte di gruppi armati impegnati nel traffico di esseri umani o nel contrabbando ».

Il testo di 46 pagine è stato trasmesso al Consiglio di sicurezza Onu e acquisito dalla Corte penale dell’Aja, che sta esaminando le richieste di mandato di cattura internazionale depositate dal procuratore Karim Khan. I nomi degli esponenti libici indagati sono ancora coperti da segreto istruttorio, in attesa che il tribunale si pronunci sulla convalida delle richieste d’arresto in campo internazionale.

La Commissione indipendente ha raccolto anche la denuncia del “panel of expert”, il gruppo di esperti nominato dal Consiglio di sicurezza e che da anni indaga sulle violazioni dei diritti umani, i crimini di guerra e i traffici illeciti in tutta la Libia. Gli specialisti «nell’ambito della loro indagine sugli incidenti di naufragio hanno segnalato che il Centro di coordinamento e salvataggio marittimo (di Tripoli, ndr), l’autorità governativa responsabile, ha violato il diritto alla vita di circa 130 migranti e rifugiati non avendo adottato misure appropriate».

Si tratta solo di uno degli episodi ricostruiti, a cui seguono abusi ampiamente provati.

La centrale di coordinamento libica è stata finanziata e attrezzata dall’Italia, che chiede alle organizzazioni del soccorso civile di rivolgersi al centralino dei guardacoste libici. Nonostante anche secondo l’Onu i funzionari di Tripoli non garantiscano neanche i minimi standard operativi e di rispetto dei diritti fondamentali.

Le guardie libiche e i membri di gruppi armati non statali, commettono abitualmente violenze sessuali per controllare e umiliare i migranti

«Il gruppo di esperti delle Nazioni Unite sulla Libia ha documentato che le guardie del Dcim (il Dipartimento del governo per il contrasto dell’immigrazione illegale, ndr), così come i membri di gruppi armati non statali, commettono abitualmente violenze sessuali per controllare e umiliare i migranti. Gli osservatori hanno riferito che lo stupro è stato spesso usato come forma di tortura e in alcuni casi ha portato alla morte».

A confermare che le sevizie siano una regola di gestione dei campi di prigionia statali ci sono prove definite «schiaccianti». L’agenzia Onu per i diritti umani (OHCHR) e la Missione Onu in Libia (UNSMIL), hanno infatti «ottenuto video e fotografie delle torture subite» da migranti e profughi «e del fatto che alle loro famiglie è stato chiesto di pagare un riscatto». In uno dei video «un uomo viene torturato a morte». Secondo l’Ufficio dell’Alto commissario per i diritti umani Onu «le donne migranti nei centri di detenzione sono trattenute in strutture prive di guardie femminili e sottoposte a “perquisizioni” da parte di agenti uomini». Donne adulte e ragazze minorenni migranti «sono costrette a praticare sesso a scopo di lucro (gli introiti vanno ai capi delle strutture, ndr) in centri di detenzione sia ufficiali che non ufficiali, in condizioni che a volte sono assimilate alla schiavitù sessuale». Molte donne migranti vittime di abusi «non sono potute tornare nei loro Paesi d’origine a causa della stigmatizzazione».

Foto di Jackson David su Unsplash

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy