Riportiamo un articolo di Fabrizio Peloni apparso su L’Osservatore Romano il 2 aprile scorso che fotografa la drammatica situazione dei tanti minori migranti.
Abbandonati, intrappolati e rifiutati. Spaventati, affamati e infreddoliti. Senza protezione, assoggettati e vittime di abusi. Queste le condizioni che sono costretti a vivere, spesso simultaneamente, i bambini migranti, quando riescono a sopravvivere ai lunghi viaggi della speranza in quelle che sono le rotte migratorie, principali o minori, nel mondo. Dalla rotta balcanica, arrivando da Turchia e Grecia, a quella nordafricana attraverso il Mediterraneo — occidentale e centrale — per finire a quella atlantica, che dalle coste della Mauritania e del Senegal conduce alle isole Canarie, tutte hanno l’Europa come comune destinazione finale. Solo in Italia, secondo l’ultimo rapporto annuale dell’Unicef, dal 2014 al 2020 sono stati circa 75.000 i bambini e adolescenti non accompagnati sbarcati lungo le coste del Paese. Nei loro “viaggi” i minori spesso rimangono bloccati in Paesi di transito, come la Bosnia ed Erzegovina, la Grecia e la Turchia, il Marocco, la Tunisia o la Libia, dove il traffico di esseri umani è un grande business.
Poi c’è la rotta dei dreamers, seguita dalle popolazioni del Sud America e dell’America centrale che inseguono il sogno americano. E poi c’è l’esodo dal Venezuela: oltre 4 milioni di persone, tra cui 1,1 milioni di minori, che negli ultimi cinque anni hanno lasciato il Paese latinoamericano per via della fortissima recessione. Un’emergenza umanitaria quella venezuelana, insieme con quella siriana, unica al mondo.
Il solo bagaglio che ogni bambino migrante porta con sé è quello delle proprie sofferenze. I giovani che cercano rifugio in Europa, di cui circa duecentomila non accompagnati solo tra il 2015 e il 2020, fuggono da zone di guerra come l’Afghanistan, la Siria e l’Iraq o di violenza e persecuzioni nel caso della maggior parte dei Paesi africani. Quelli che tentano di raggiungere gli Stati Uniti vogliono dire addio alla povertà e al forte tasso di criminalità del proprio Paese d’origine. In molti casi poi anche le conseguenze dei cambiamenti climatici — come fenomeni meteorologici estremi, la mancanza di cibo e acqua — costringono tanti ragazzi a lasciare le proprie radici. E poi si trovano in una nuova tragedia, quella dello sradicamento prolungato. Spesso si tratta di ragazzi senza familiari adulti al seguito che finiscono in campi profughi sovraffollati o in centri temporanei di detenzione, vivendo in condizioni disastrose, spesso senza accesso all’acqua corrente o ad altri servizi essenziali. In moltissimi casi sono privi di documenti e il più delle volte devono affrontare difficili sfide per regolarizzare il proprio status migratorio, il che influisce sul loro accesso alla protezione sociale, alla salute, all’istruzione, ai mezzi di sussistenza e alla protezione dell’infanzia. Nel 2020, inoltre, per via della pandemia di covid-19, si sono presentate nuove sfide per la protezione e inclusione di bambini e adolescenti migranti e rifugiati. Sono infatti cresciuti i rischi sanitari, aumentando le difficoltà nell’accesso ai servizi, e di conseguenza l’esposizione al rischio di sfruttamento e violenza.
Come documentato da varie agenzie delle Nazioni Unite e organizzazioni non governative impegnate nell’accoglienza e nell’assistenza, i minori perdono ogni speranza, soffrono di incubi ed episodi di depressione legati ai traumi vissuti, praticano forme di autolesionismo e fanno abuso di sostanze. La forma di sostegno di cui hanno più bisogno è quella psicologica; il repertorio di sintomi è vastissimo e l’obiettivo principale, in queste situazioni di criticità, è fare in modo che emerga la naturale resilienza dei più piccoli. Di molti di loro poi si perdono le tracce. Spinti da un pressante bisogno economico, sono molti quelli che abbandonano il sistema dell’accoglienza per tentare ricongiungimenti, il più delle volte improbabili, con alcuni familiari. E in questa situazione sono facilmente vittime di trafficanti di esseri umani. I diritti dei bambini migranti dovrebbero essere tutelati in ogni momento durante tutte le fasi del loro percorso migratorio, in primis l’accesso immediato all’asilo e alla protezione internazionale, e nel pieno rispetto di tutti gli aspetti, da quello fisico a quello emotivo, da quello mentale a quello sociale, per finire a quello spirituale, proprio in virtù della loro doppia vulnerabilità, essendo minori e profughi al tempo stesso.
In questa situazione di drammaticità vissuta da gran parte dei minori migranti, da segnalare una lodevole iniziativa a Ventimiglia, città di arrivo e ripartenza per molti migranti. Grazie all’attività congiunta di alcune ong è stato creato uno “spazio dedicato a bambini in transito”. Un luogo — una tensostruttura allestita il 10 marzo scorso — pensato per permettere di riappropriarsi di una dimensione di serenità, svago e gioco e in cui poter tornare a essere bambini, dopo viaggi lunghi, pericolosi e sfiancanti. E dare la possibilità ai genitori di svolgere colloqui con operatori e professionisti per individuare eventuali fragilità e bisogni.
Leggi anche:
l’articolo di Luca Liverani “Ventimiglia, un centro per minori stranieri da Caritas e Save the Children” apparso su Avvenire il 26 marzo scorso.
l’articolo di Lucia Capuzzi “Le due bimbe oltre il Muro Usa. Il dolore che fa gettare i figli a una speranza” apparso su Avvenire il 2 aprile scorso.