Il 17 gennaio le parole dell’Ambasciatore Pasquale Ferrara su pace e diplomazia nella sala conferenze dell’Istituto Colombatto di Torino, per il primo appuntamento del Festival OFF

Secondo il Global peace index, pubblicato a giugno 2024 dall’Institute for Economics & Peace, nel mondo sono attualmente attivi 56 conflitti, il numero più alto mai registrato dalla fine della Seconda guerra mondiale. I paesi più colpiti sono l’Ucraina, la Palestina, il Sudan, il Myanmar, il Sahel, lo Yemen, il Messico e tanti altri. Ci sono stati nel 2024 circa 162.000 morti a causa dei conflitti, senza contare i feriti, le distruzioni, le penose condizioni di vita dei sopravvissuti, con scarsa assistenza medica, mancanza di cibo e acqua. In questo scenario, la pace è possibile? O meglio ancora, quale pace è possibile?

A tentare di rispondere a questa domanda – che come lui stesso definisce, è «da premio Nobel per la pace» – è chiamato Pasquale Ferrara, nell’ambito del Festival dell’Accoglienza off, un evento organizzato dalla Pastorale dei Migranti.

Pasquale Ferrara, con una lunga esperienza diplomatica alle spalle, attualmente è direttore generale per gli affari politici e di sicurezza della Farnesina, docente di diplomazia presso la LUISS e docente all’Istituto Universitario Sophia di Loppiano. Ferrara nel suo discorso mette in evidenza il tema della fiducia, o meglio della sfiducia, espresso dal cosiddetto “dilemma della sicurezza”. Dice:

«Il dilemma della sicurezza si basa… sull’insicurezza. Se uno stato non ha certezze sulle intenzioni e sui futuri comportamenti di un altro stato, tende ad aumentare le proprie capacità difensive, il che ingenera in altri paesi reazioni simili e contrarie, in una spirale ascendente  che può sfociare in un conflitto non voluto e non programmato».

Ricordando gli antefatti che hanno portato alla tragedia della Prima guerra mondiale, basati sul motto si vis pacem, para bellum (se vuoi la pace, prepara la guerra), Ferrara commentava: «Dovremmo cambiare il motto che consiglia la preparazione della guerra per preservare la pace con un altro che, invece, suggerisce di consolidare la fiducia se si vuole mantenere la pace: si vis pacem, confirma fidem». 

È evidente che nel contesto del mondo attuale una prospettiva di pace deve abbandonare la visione geopolitica per riconoscere che la patria comune oggi è l’umanità. Dice Ferrara: «la condizione di comune fragilità fa molta fatica a trasformarsi nella consapevolezza di una responsabilità comune, nella mutualità, nell’impegno a prenderci cura gli uni degli altri. In una parola, più che della globalizzazione, oggi avremmo davvero bisogno di una fraternizzazione del mondo». Rifacendosi al norvegese Morten Tonneessen, Pasquale Ferrara sottolinea la necessità di rivolgersi ai fatti contemporanei con un atteggiamento di “realismo utopico”:

«Un realista utopico è colui che ha una visione di ampio respiro, che ha il coraggio di lottare per idee e stati di cose desiderabili – non importa come siano le loro prospettive a breve termine – e che ha la consapevolezza che lo status quo è solo un fenomeno passeggero. Per il realista utopico la pace è infinita». 

L’intervento di Ferrara continua con un dialogo con i discussant: Michela Favaro vicesindaco di Torino, Anna Maria Poggi presidente Fondazione CRT, Raffaella Dispenza vicepresidente nazionale ACLI, Chen Ming vicepresidente CODIASCO (Coordinamento delle diaspore per la Cooperazione Internazionale), Alberto Perduca magistrato, Irene Hosmer Zambelli  e Batool Mirza studentesse universitarie.

Si parla di come le tematiche locali possano influire sul raggiungimento di una pace globale; del ruolo degli organismi internazionali – come l’ONU e la Corte Internazionale di Giustizia  dell’Aia – oggi quanto mai criticati, ma che devono essere supportati e migliorati in quanto sono ancora una barriera verso il far-west della giustizia; del ruolo delle diaspore; di migranti e delle tematiche che legano il fenomeno migratorio a guerre, ingiustizie e precarie condizioni di vita; del ruolo dei social, in una società che ha mai avuto così tante informazioni, ma che non ha ancora trovato il modo di usufruirne in modo costruttivo.

Significativo che questo evento si sia tenuto a Torino, con la sua tradizione dei grandi santi sociali, don Bosco, Cottolengo, Cafasso, Giulia di Barolo, Frassati e dei suoi nuovi fermenti, come L’arsenale della pace di Ernesto Olivero o il Gruppo Abele di don Ciotti. E tanti altre associazioni e movimenti laicali o ecclesiali. Insomma, una città che, anche con eventi come questo di oggi con l’ambasciatore Ferrara, può continuare a esercitare il suo ruolo di “capitale della fraternità”.

[Michele Genisio, Città Nuova]

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