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Pubblichiamo di seguito l’articolo di Alberto Perduca, uscito sul numero 1 della rivista quindicinale Rocca della Pro Civitate Christiana di Assisi.

Dal 24 febbraio 2022, da quando cioè la Russia ha invaso l’Ucraina, il diritto e la giustizia non cessano di incrociarsi con la guerra. Risalgono a un paio di settimane fa le ultime proposte avanzate dalla Commissione Europea per far sì che la Russia risponda pienamente dei crimini commessi nella guerra contro l’Ucraina. In particolare due sono le opzioni che vengono sottoposte ai ventisette Paesi dell’Unione Europea: da un lato creare una struttura europea che si occupi del blocco e della gestione delle proprietà russe sottoposte a sequestro; dall’altro lavorare con la comunità internazionale per la creazione di un Tribunale ad hoc che indaghi e giudichi il crimine di aggressione. Stando a quanto si legge nel comunicato stampa del 30 novembre 2022 questo Tribunale potrebbe essere composto da soli procuratori e giudici internazionali ovvero anche da magistrati ucraini. L’iniziativa dà solerte e conforme seguito alla sollecitazione proveniente dall’ultimo Consiglio Europeo. A conclusione dell’incontro tenutosi il 20 e 21 ottobre 2022 i capi di Stato e di Governo hanno infatti invitato la Commissione Europea a vagliare le opzioni che meglio consentano l’accertamento delle responsabilità per l’aggressione subìta dall’Ucraina. Del resto, su questa linea si era per primo mosso lo stesso Parlamento europeo la cui Risoluzione del 19 maggio 2022 aveva auspicato la creazione di un tribunale speciale internazionale per il perseguimento de l crimine di aggressione commesso contro l’Ucraina dai leader politici e dai comandanti militari della Russia e dei suoi alleati. tribunale ad hoc per perseguire il crimine di aggressione.

Un tribunale ad hoc per perseguire il crimine di aggressione

La ribadita attenzione dell’Unione europea alla questione rinvigorisce l’appello che, già a pochi giorni dall’avvio della operazione speciale russa, era stato lanciato da eminenti esponenti, per lo più anglosassoni, della politica, del diritto, della giustizia e della cultura. Tre, in sintesi, i passaggi principali del loro manifesto: l’attacco dell’Ucraina, con il tentativo del Presidente Putin di sostituire con la forza il diritto ed il principio di autodeterminazione dei popoli, rappresenta una grave minaccia all’ordine internazionale post 1945; nel conflitto in corso la competenza della Corte Penale Internazionale può coprire i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità e il genocidio ma non il crimine di aggressione; affinché quest’ultimo non resti impunito occorre perciò allestire un Tribunale ad hoc. Gli autori dell’appello non mancano poi di evocare il precedente storico di quando nel 1943 le Potenze alleate decisero che al termine della guerra, sarebbe stato creato un Tribunale militare internazionale per perseguire i crimini della dirigenza nazista, inclusi quelli contro la pace, e cioè di aggressione. Ora, al di là della suggestione che quella prima grande ed imperfetta esperienza di giustizia penale internazionale continua a propagare, il futuribile Tribunale chiamato ad occuparsi dell’invasione dell’Ucraina non potrà in alcun modo ricalcare Norimberga per almeno due ragioni. Vi si oppone innanzitutto una questione di genesi e struttura. la Corte che nel 1945-1946 giudicò ventiquattro componenti della leadership politica e militare del nazionalsocialismo fu voluta dai vincitori per punire i vinti e venne composta esclusivamente da magistrati di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Russia. Per contro, il Tribunale ad hoc potrà nascere ed operare con legittimazione, autorevolezza ed imparzialità soltanto se sostenuto dal consenso quanto più ampio della comunità internazionale. Dovrà insomma essere un Tribunale autenticamente internazionale e non gli gioverà di certo la eventuale partecipazione di magistrati appartenenti ai Paesi comunque implicati nel conflitto. Si pone poi il tema delle modalità di amministrazione della giustizia. Dinnanzi ai giudici di Norimberga gli imputati fruirono di diritti di difesa limitati e comunque soccombenti rispetto alla pubblica accusa, vennero sopraffatti da prove soprattutto documentali, non ebbero un giudizio di appello ed infine dodici di loro furono condannati a morte. Invece, il Tribunale ad hoc non potrà fare a meno di ispirarsi alle peculiarità dell’equo processo internazionale così come si è venuto consolidando negli ultimi trent’anni a partire dal Tribunale Penale per i crimini nell’ex Jugoslavia: parità delle armi tra difesa ed accusa, grande rilevanza della prova testimoniale, formazione della prova nel contraddittorio delle parti, impugnabilità in appello della condanna di primo grado, carcere a vita quale massima sanzione. un cantiere ancora molto aperto.

Un cantiere ancora molto aperto

Ad oggi, la chiusura positiva del cantiere aperto per il Tribunale ad hoc si presenta tutt’altro che scontata. Il forte argomento a suo sostegno è che il crimine di aggressione spesso costituisce il primo passo violento che precede la commissione delle atrocità integranti i crimini di guerra, i crimini contro ’umanità ed il genocidio. Sanzionare questi ultimi e lasciare senza risposta il primo perché– è il caso dell’Ucraina – manca un giudice internazionale in grado di intervenire, confligge con il più elementare senso di giustizia. Inoltre, l’atto di aggressione non offende unicamente l’aggredito perché esso, tanto più in un mondo polarizzato come l’attuale, pone in pericolo anche la pace e la sicurezza internazionali. Non a caso lo Statuto delle Nazioni Unite (1945) proprio a tutela di questi valori ed interessi che appartengono all’intera umanità fissa la regola (art.2) secondo cui gli Stati devono risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici… ed… astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con  i fini delle Nazioni Unite. Non si può però sottacere che a partire dalla fine della prima guerra mondiale il percorso compiuto dalla comunità internazionale per prevedere e punire il crimine d’aggressione, è stato assai lento. Dopo la parentesi del Tribunale di Norimberga ove il crimine occupa un ruolo primario nel giudizio, si deve attendere quasi vent’anni prima che nel 1974 l’Assemblea delle Nazioni Unite adotti la nozione generale di aggressione quale violazione internazionale adopera di uno Stato. Nel 1998 lo Statuto di Roma, istitutivo della Corte Penale Internazionale, poi riconosce l’aggressione quale crimine di diritto consuetudinario. Ed infine soltanto nel 2017 vengono fissate le condizioni perché la stessa Corte possa esercitare la giurisdizione per questo crimine. Senonché dal complesso reticolo frenante di tali condizioni emerge che, come ammesso dallo stesso Procuratore internazionale, la Russia si colloca totalmente al di fuori dell’azione della Corte per il crimine di aggressione, in quanto Stato che non ha ratificato lo Statuto di Roma. Ed è appunto questo deficit di giurisdizione che spinge lungo la strada del Tribunale ad hoc.

La via realistica di irrobustire la Corte esistente

La lenta affermazione del crimine di aggressione nella giustizia internazionale rivela il circospetto atteggiamento normalmente riservatogli dagli Stati, soprattutto quelli più potenti, spesso preoccupati del rischio di dover rispondere a giudici internazionali per le operazioni militari a vario titolo condotte in altri Paesi. Non solo, ma la potenziale incriminazione degli alti responsabili politico-militari di uno Stato per l’aggressione di un altro Stato viene percepita per lo più come ostacolo ai negoziati necessari per la composizione del conflitto. Insomma l’intervento della giustizia sembra opporsi alle ragioni della realpolitik diplomatica e complicarne la missione. Non a caso proprio con riferimento all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, non pochi Paesi tra cui Stati Uniti, Regno Unito e Francia mantengono sin qui un atteggiamento di prudenza rispetto alla proposta del Tribunale dedicato al solo crimine d’aggressione. Sul piano legale pesano poi non poche difficoltà di trovare la base giuridica adeguata alla nuova istanza giudiziaria soprattutto a fronte dell’ostacolo costituito dall’ineluttabile veto che la Russia opporrà a qualsivoglia decisione di apertura del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di cui è membro permanente. Ed infine per chi ha a cuore le sorti della giustizia penale internazionale sorge legittima la domanda se la prospettiva del nuovo Tribunale ad hoc finisca non solo di marginalizzare definitivamente la Corte Penale Internazionale – purtroppo dopo vent’anni di stentata esistenza – ma addirittura di affossare l’idea che sia possibile un giudice globale capace di perseguire i più gravi crimini umanitari ovunque siano commessi sul pianeta. E se dunque non sia più opportuno puntare ad irrobustire la Corte esistente attribuendole una più ampia capacità operativa anche per il crimine di aggressione.

Alberto Perduca


Ringraziamo la Redazione della rivista Rocca per la concessione alla pubblicazione accordataci.

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