A Malta manifestazioni di protesta e parole d’odio online contro gli stranieri: «Devono stare a casa loro». La polizia della Valletta ha registrato nel 2020 oltre 180 denunce, in crescita di oltre il 70%.
Un articolo di Mauro Mondello pubblicato da Avvenire domenica 21 marzo 2021 ci parla di azioni messe in atto nell’isola da movimenti anti migranti e xenofobi  .

 

Fra gli strettissimi vicoli calcarei della Triq Mesquita si ascolta solo il chiacchiericcio ritmato di due signore affacciate alla finestra. Parlano una lingua che somiglia all’arabo, ma ogni tanto sembra di carpire una parola in italiano. La strada si apre, senza preavviso, su un cortile circondato da una fila bassa di case, scolpite in una pietra che ha il colore dell’oro. È a pochi passi da qui, nella Mdina di Malta, la Città Silenziosa, che San Paolo, nel 60 d.C., trovò rifugio in una grotta, dopo essere naufragato mentre era diretto verso Roma, un imprevisto che sancì l’inizio della millenaria storia cristiana dell’isola, secondo la leggenda.

«La questione non è se vanno salvati o meno: devono stare a casa loro. Malta è una roccia in mezzo al mare e per questa gente che arriva dall’Africa non abbiamo più spazio. Non è razzismo il nostro, ma siamo troppo diversi. I rifugiati non sono abituati a rispettare le leggi e poi non è vero che scappano dalle guerre» dice Lisa Seisun, attivista anti migranti e autrice di una delle pagine social di riferimento dei movimenti xenofobi maltesi, Malta-tal-Maltin, all’ombra della maestosa cattedrale di San Paolo, a Mdina.

«Il nostro governo è troppo debole con l’Unione Europea e con le Ong, che dicono di realizzare operazioni di salvataggio ma che in realtà si comportano da taxi del mare, scaricando a Malta decine di clandestini e favorendo i trafficanti di esseri umani». Le parole della quarantenne Seisun, promotrice di una petizione per fermare l’immigrazione da lei definita ‘illegale’ che ha raccolto più di 50.000 firme, sono rappresentative di una nuova ondata di intolleranza che sta travolgendo Malta. Sono tante le pagine Facebook costruite per promuovere l’odio anti-migranti e per attaccare l’operato delle organizzazioni che lavorano in missioni di salvataggio nel Mediterraneo e per la protezione dei diritti umani nell’isola. Defend Malta e Malta Front, due delle comunità social più seguite in questo senso, sono ad esempio fra le promotrici di gran parte delle manifestazioni contro i rifugiati a Malta che in diverse città dell’isola, da Hamrun a La Valletta, si sono susseguite nel corso degli ultimi mesi.

Su tutte, il contro-corteo dello scorso 8 giugno, quando un gruppo di manifestanti di estrema destra oppose striscioni inneggianti all’odio razziale e saluti nazisti alla sfilata pacifica di Black Lives Matter, un’azione su cui l’Unità Speciale della polizia maltese per il monitoraggio sui crimini d’odio, che ha registrato nel 2020 oltre 180 denunce, in crescita di oltre il 70% rispetto all’anno precedente, sta indagando.

Fra le organizzazioni non governative più criticate dai gruppi xenofobi c’è Moas, che nell’estate del 2014 allestì la prima missione di salvataggio interamente finanziata da privati nel Mediterraneo, salvando 300 naufraghi. «Quello dell’integrazione fra popolazione locale e migranti è un tema ancora aperto nella società maltese, sul quale sicuramente bisogna impegnarsi più a fondo, sia a livello istituzionale che civile – dice Regina Catrambone, co-fondatrice e direttrice della Ong Moas – dobbiamo insistere su una questione che, almeno, non per noi, è inderogabile: salvare vite, e garantirne poi la dignità, non è un atto politico, ma umano, e su questo non si può transigere. In tal senso questi movimenti di estrema destra che crescono a Malta non ci intimidiscono, chi vuole confrontarsi sa dove trovarci, noi continuiamo a lavorare». Sulle condizioni dei richiedenti asilo a Malta non si allunga solo l’ombra pesante dei movimenti ultranazionalisti, ma anche un sistema di accoglienza che continua sollevare numerose critiche.

l centro di ricezione di Hal Far dove vivono 1.000 migranti divisi fra i container della struttura ufficiale e gli edifici cadenti fra spazzatura e carcasse di automobili – Nunzio Gringeri

«Le autorità maltesi a volte trattengono i migranti nei centri di detenzione anche per periodi superiori a un anno, mentre per legge non si potrebbe andare oltre le dieci settimane» spiega Katrin Camilleri, avvocato, sostenitrice di lungo corso delle vie legali e sicure per l’ingresso dei migranti in Europa e direttrice del Jesuit Refugees Service, che offre consulenza legale e pastorale e si assicura che tutti i rifugiati abbiano accesso all’assistenza sanitaria. «Inoltre l’elaborazione delle richieste d’asilo è ancora troppo lenta e le condizioni dei campi sono spesso disumane e degradanti». Il centro di Hal Far, nella punta meridionale dell’isola, è in effetti in condizioni di fatiscente abbandono. Ci vivono oltre 1.000 migranti, divisi fra i container della struttura ufficiale e gli edifici cadenti che, fra spazzatura e carcasse di automobili, si allargano a raggio a partire dalle mura del campo.

La situazione igienica e sanitaria del complesso, intorno al quale bivaccano sin dalle prime ore del mattino decine di giovanissimi ragazzi, ha attirato anche l’attenzione del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa, che nel report pubblicato lo scorso 11 marzo ha sottolineato come ‘pur tenendo in considerazione le difficoltà legate alla gestione di un numero relativamente elevato di richieste di asilo, non si possono assolvere le autorità maltesi dalle gravi violazioni rispetto ai loro obblighi internazionali in materia di diritti umani.

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