È uscita l’inchiesta di Altreconomia sulla gestione dei centri albanesi che tanto hanno fatto discutere la politica e la società italiana nell’ultimo anno. Chi gestisce le strutture? Chi si occupa dei cittadini rinchiusi nei centri? Secondo quali appalti e regolamenti?
Nel corso di un anno, l’accordo tra Italia e Albania per la gestione di migranti ha incontrato diversi ostacoli legali, che hanno portato alla sospensione delle operazioni più volte. Nonostante ciò, la cooperativa Medihospes è rimasta attiva nei centri di Shëngjin e Gjadër, in Albania, dove si è aggiudicata un appalto da 133 milioni di euro. Si tratta di uno degli appalti più importanti nel settore migratorio italiano, ma presenta criticità significative, come ad esempio l’assenza di un contratto firmato, nonostante siano passati oltre 478 giorni dall’assegnazione.
Il 14 ottobre 2024 il governo italiano ha attivato le strutture previste dall’accordo con Tirana. Il 16 ottobre, i primi 16 migranti (10 bengalesi e 6 egiziani) sono arrivati a Shëngjin a bordo della nave militare Libra, trasferita in Albania dal governo Meloni. Tuttavia, l’operazione è stata caotica: anche i dipendenti albanesi di Medihospes erano impreparati, privi di formazione, e senza strutture adeguate fino a fine dicembre.
Medihospes Albania, la filiale della cooperativa, ha assunto 99 lavoratori nei primi tre mesi, affiancati da personale italiano. I contratti, redatti secondo la legge albanese, contenevano clausole di riservatezza e obbligo di lealtà molto restrittive, che hanno creato un clima di paura e silenzio, scoraggiando la denuncia di eventuali abusi. I dipendenti dovevano anche firmare un codice di condotta, con sanzioni fino al licenziamento.
Dopo tre tentativi falliti di attuazione dell’accordo da parte delle autorità italiane, a febbraio 2025 molti lavoratori albanesi sono stati licenziati, ufficialmente a causa di sentenze giudiziarie italiane ritenute contraddittorie. Questo ha spinto il Ministero dell’Interno a rivedere la strategia e il centro di Gjadër è stata riaperto come Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR).
Medihospes, con 4.504 dipendenti (l’82% part-time), ha continuato a crescere in Italia (registrando al 31 dicembre 2024 un fatturato di 179 milioni di euro) e ricevendo nel 2025 anche il riconoscimento UNHCR WeWelcome per l’integrazione dei rifugiati. Tuttavia, l’assenza di un contratto definitivo per l’appalto albanese solleva dubbi sulla trasparenza dell’intera operazione e necessita di ulteriori approfondimenti. Senza dimenticare che dall’ottobre 2024 la prefettura di Roma ha comunicato ad Altreconomia di aver svolto una sola visita ispettiva nella struttura il 10 maggio 2025 non rilevando mancanze da parte dell’ente gestore. Un controllo in un anno? Meno del minimo accettabile…
[da Vie di Fuga, Osservatorio permanente sui rifugiati https://viedifuga.org/12-mesi-in-albania-storia-della-non-gestione-dei-centri-di-gjader-e-shenjin/]
