Anche quest’anno il Santo Volto – la chiesa prima e l’auditorium dopo – sono stati il 6 gennaio la rappresentazione di quello che è l’elemento positivo della migrazione: lo scambio e l’arricchimento reciproco. Il migrante non è solo chi ha bisogno, ma è anzitutto chi porta con sé, anche in una vita complessa, anche segnata da terribili sofferenze, il desiderio di cercare orizzonti nuovi, di cogliere il disegno di Dio sulla propria vita, di condividere le bellezze e le peculiarità della propria cultura e della propria fede. E lo hanno appunto mostrato con grande entusiasmo uomini, donne, bambini che hanno partecipato, come ormai tradizione nel giorno dell’Epifania, alla Festa dei Popoli al Santo Volto, prima alla celebrazione presieduta dall’Arcivescovo e poi al pranzo condiviso e infine al pomeriggio dedicato alle tradizioni delle 13 cappellanie etniche presenti in diocesi che si sono alternate proponendo canti e balli fino a sera. Entusiasmo e gioiosa multietnicità che hanno caratterizzato anche la celebrazione della Messa e che l’Arcivescovo ha colto e «rilanciato» come testimonianza di fraternità.

«C’è qualcosa di davvero sorprendente», ha sottolineato nell’omelia. «e persino commovente nel fatto che siamo in tantissimi qui riuniti, provenienti da continenti diversi, avendo imparato sin da piccoli delle lingue estremamente differenti, incomunicabili l’una con l’altra, affondando la nostra vita dentro culture che sono a volte anche molto distanti tra di loro. C’è qualcosa di davvero sorprendente e commovente nel fatto che siamo tutti qui non soltanto per dire il nostro desiderio di una solidarietà degli uni nei confronti degli altri, ma per professare l’unica fede che ci unisce nel Cristo Signore di tutti; per ascoltare quella Parola, la Parola di Dio, che ci permette di rimanere vivi in profondità; per nutrirci insieme dell’unico corpo di Cristo e sentire di avere bisogno di una vita che non è semplicemente la vita fisica, la vita biologica, ma è la vita di Dio».
Parole che hanno coinvolto chi ha vissuto l’esperienza della migrazione ma anche i tanti fedeli «locali» che scelgono la giornata dell’Epifania per esprimere, condividendo preghiera e festa, il desiderio di fraternità, quel sentirsi tutti migranti sul quale l’Arcivescovo si è così soffermato: «È interessante che questi Magi si mettano in cammino seguendo una stella, ma dopo aver percorso chilometri e chilometri non vanno direttamente a Betlemme, ma si fermano a qualche chilometro di distanza, a Gerusalemme, per attingere ad un’altra sapienza, quella della Scrittura. Quasi a dire che ci si deve mettere in viaggio seguendo i desideri, seguendo ciò che la stella ci indica, nel suo simbolismo di saggezza, di sapienza, di attesa… ma se i segni della stella non vengono confortati dalla lettura della Scrittura, allora non c’è possibilità di scorgere il volto del bambino di Betlemme. Bisogna leggere i segni della vita e della storia e mettersi in viaggio, ma bisogna poi confrontare questi segni con la Parola di Dio (…) Molti di voi si sono messi in viaggio qualche mese fa, qualche anno fa, qualche decennio fa… pur di sopravvivere, pur di continuare a vivere. Ma abbiamo bisogno tutti, anche quelli che non necessitano di varcare dei mari o degli oceani, di metterci in viaggio se vogliamo essere vivi, se vogliamo incontrare l’Autore della vita. Se siamo statici, se siamo fermi, non c’è possibilità che il Signore si manifesti a noi per quello che è. Dobbiamo metterci in viaggio percependo che questo mondo è troppo ferito per essere la verità di questo mondo. Dobbiamo metterci in viaggio per riconoscere che tutto il mondo non è sufficiente a colmare il desiderio di amore che abbiamo nel cuore. Dobbiamo metterci in viaggio per percepire che nessun amore umano, per quanto ricco, bello e fedele, è all’altezza in pieno di ciò che desideriamo in profondità. (…) È l’Epifania del Signore e si ricompie ancora in qualcosa di sconvolgente e commovente qui oggi se, come i Magi, andiamo da Lui sapendo che lì c’è l’unico dono che fa essere tutto, ma portando i nostri poveri doni, quelli di cui siamo capaci».

«È stata infatti una celebrazione», ha commentato Tatiana Ghiurca della cappellania cattolica rumena Torino, «dalla quale possono e devono scaturire i nostri doni da portare davanti a Dio bambino: la fiducia, oggi così necessaria; l’affetto, di cui oggi c’è tanta fame e la nostra libertà. Doni che si trasformano in una luce per il prossimo, una stella per gli altri».
Luce reciproca e condivisione espressa anche nel momento nel momento dell’offertorio: «abbiamo portato in dono», prosegue portato «alimenti per i bisognosi perché con-dividendo si moltiplica. Per noi rumeni è stato anche un bel segno il fatto che abbia concelebrato anche il Vescovo Ausiliare della Diocesi di Iasi (Romania) mons. Petru Sescu, Piacevolmente sorpreso del grande numero dei partecipanti, dell’abbondanza del pranzo condiviso, dell’autentico spettacolo multiculturale, ci ha detto ‘dobbiamo sempre sforzarci di conoscere l’altro che sembra differente, ma è simile a noi più di quanto crediamo!’».
Tra i tanti «non migranti» anche il parroco di Nostra Signora delle Vittorie, don Manuel Lunardi. «Sono riuscito a partecipare alla Festa a partire dal pranzo e davvero vedere che durante un ballo proposto da una comunità su palco si sia formato nella platea un cerchio di ogni nazionalità a ballare festoso è stato uno dei momenti che mi han colpito ed emozionato di più: tanti popoli così diversi che danzano insieme con gioia e passione!! In fondo sogniamo un mondo così…».
«È stato un po come fare il giro del mondo in tre ore aggiunge Benny Pasculli, giovane di Moncalieri, per me era la prima volta ed ho vissuto una esperienza di mondialità molto bella, nelle cose viste, sentite… e a anche mangiate!».
(Federica Bello su La Voce e il Tempo)










